Ero lì che stavo editando e meditando su quel Rave continuo che sono stati Villa Favorita, Cerea, Sorgente del Vino (e, prossimamente, Albana Dei e Vini Ad Arte e Enodissidenze, tanto per dirne alcuni a cui parteciperò) e stavo letteralmente scrivendo come, andando per sommi capi e ragionando un po' con l'accetta, nel complesso degli anta-mila assaggi effettuati, in quel Giochi Senza Frontiere che passa dalla Spagna alla Slovenia alla Germania all'Austria alla Georgia alla Francia etc etc e che a volte appare più come un Risiko inkazzoso, stavo scrivendo di getto come nella finalissima dei miei pensieri Italia batte Francia 2 a 0.
Questo perché nel vortice ebefrenico di quelle fiere, spesse volte i francesi erano vini affascinanti ma anche problematici (nota 1), giocati molto sulle acidità e le ossidazioni oppure su legnosità scorbutiche. Con le dovute eccezioni, certo. Ogni tanto se ne incontrava uno veramente buono. Ma per uno buono ce n'erano il triplo tra gli italiani. Andavi da Collecapretta e poi da Dario Princic (signori, qualsiasi cosa produce quest'uomo, è un nettare) e poi da Le Coste (Litrozzo Bianco 2012 è ormai una sicurezza) e poi da Eugenio Rosi e poi da tutti i friulani e se potevi abbracciare una regione l'avresti fatto. E poi e poi.
E poi i francesi e la mineralità e le acidità che spaccano il palato (credo sia spesso inteso come complimento) e ogni tanto uno buonissimo (beh si, gli Chenin e i Pineau d'Aunis di Jean-Pierre Robinot sono a prova di cretino).
E a smontarmi il giocattolino che mi sono costruito, a battermi sulle spalle e a dirmi: "Ehi, ciccio, non è bello fare certe divisioni perché adesso siamo nel 2013 e siamo tutti europei e bla bla bla... Però intanto bevi questo e canta la Marsigliese con me."
E ho cantato e mi sono, metaforicamente, inginocchiato di fronte al Crozes Hermitage Foufoune 2011 de Les Champs Libres.
Che è un progetto di René-Jean Dard (uno dei due supereroi)e Hervé Souhaut (l'uomo dietro il Domaine Romaneaux-Destezet, e se trovate dei loro vini, fidatevi, fatene scorta).
Questo Syrah al 100% è vinificato con uve di amici, colleghi della zona, secondo la filosofia dei due: niente diraspatura, lunga macerazione, veloce passaggio in botti vecchie e una leggera solfatura all'imbottigliamento.
E tappo nero sintetico. E tappo che, appena stappato e imbevuto di vino, sembra una caramella ai frutti neri. Credo di avergli dato anche un morso.
E il colore è una massa violacea, impenetrabile (inscalfibile quasi). Che esplode al naso in una delle ceste di frutta più appetitose mai capitate, un naso irrealmente definito eppure non costruito, niente mollezze e svasature. Un naso così dolce al primo atto dell'inspirazione e subito bilanciato dall'amarognolo alla fine. Un naso così superbo da temere per la bocca. Da temere che non ne sia all'altezza.
Prendete la descrizione di sopra, fate un copia/incolla e sostituite naso con bocca. Identiche sensazioni. 11,5° che potrebbe essere un titolo messo a caso. Perché l'alcool è si quasi inavvertito ma veicola, rilassa e addolcisce la tannicità setosa. Un tatto non massiccio ma appagante. Davvero, appagante. Un vin de soif totale come non se ne fanno (quasi) in Italia. Ma se ne fanno in Europa.
95/100
Nota 1: un esempio sono i vini di Domaine Labet: ossidativi nelle intenzioni e, ancor più, nei fatti, vini che tendono agli sherry secchi, che giocano sull'acidità e il frutto spremuto ed estenuato, su consistenze minime; quindi tesi nel bicchiere e tesi nel cercare l'amante del genere, la persona che ami in particolare modo certe sensazioni. Affascinanti, quindi, nell'uscire dai parametri normali, alla ricerca di un equilibrio sul filo del rasoio. Affascinanti ma lontani da un'idea di godibilità sensoriale.
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