Ovvero, di come 2 assaggi possano risultare emblematici e rappresentare il vino nelle sue sfaccettature oserei dire "ideologiche" laddove le ideologie sono morte e anche il Paese non si sente tanto bene (per non dire del Paese o Paesone del vino) e dappertutto si avverte un senso di caos e/o frullato e/o spezzatino (appunto) ideologico/critico essendo il Re morto e il Papa indisposto e per formulare una qualsivoglia opinione su cosa deve essere il vino bastano un cavo orale e un dito opponibile necessario per impugnare un bicchiere e digitare su una tastiera.
Grazie.
Grazie.
Signori, la Bestia.
Montepulciano d'Abruzzo Harimann 2002 (Pasetti)
Curioso. E' stata una delle ultime illuminazioni maroniane, di quando del Luca ci si poteva fidare se sparava un votone (o giù di lì). Chessò, le strepitose annate 2000 e 2001 con dei 33 in consistenza solo perché 33 era il massimo. La 2005 che prende 96/100. Il punto di contatto tra solido e liquido. Frutto/uva raddensato sino a diventare un inchiostro oleoso. La vertigine della sua consistenza che scavalcava il legno (tanto e, si, era/è un vino-legno) portandoci dalle parti della distensione. Poco di rigido, tanto di cremoso e suadente. Un mastodonte kurnesco, solo in un quadro più austero. E un vino che da qualche anno non bevevo e qualche anno, nel campo della degustazione, significa rinascere e morire un paio di volte. E quindi tanta curiosità nel capire se, essendo io andato da una certa parte, il buon Harimann mi avesse seguito (o viceversa); se parlassimo ancora lo stesso linguaggio o prevalesse l'effetto riunione-ex-compagni-di-scuola e quella scia amara. Insomma, era un grande ricordo da riallineare con il presente.
Curioso. E' stata una delle ultime illuminazioni maroniane, di quando del Luca ci si poteva fidare se sparava un votone (o giù di lì). Chessò, le strepitose annate 2000 e 2001 con dei 33 in consistenza solo perché 33 era il massimo. La 2005 che prende 96/100. Il punto di contatto tra solido e liquido. Frutto/uva raddensato sino a diventare un inchiostro oleoso. La vertigine della sua consistenza che scavalcava il legno (tanto e, si, era/è un vino-legno) portandoci dalle parti della distensione. Poco di rigido, tanto di cremoso e suadente. Un mastodonte kurnesco, solo in un quadro più austero. E un vino che da qualche anno non bevevo e qualche anno, nel campo della degustazione, significa rinascere e morire un paio di volte. E quindi tanta curiosità nel capire se, essendo io andato da una certa parte, il buon Harimann mi avesse seguito (o viceversa); se parlassimo ancora lo stesso linguaggio o prevalesse l'effetto riunione-ex-compagni-di-scuola e quella scia amara. Insomma, era un grande ricordo da riallineare con il presente.
Ciao, come stai, quanto tempo, e alla fine il rendez-vous è andato. E ce la siamo sfangata bene. Anche con una 2002, annata orrenda pure nel solatio Abruzzo. Snocciolando qualche dato, l'Harimann è un Montepulciano a raccolta leggermente tardiva (solitamente inizio novembre), fatto fermentare 25/30 giorni e poi messo in barrique per 24 mesi. Sta sempre sui 15,5% e costa 35 euro in enoteca. Quindi è un vino tanto, in tutti i sensi. Come è tanta la roba che arriva alla bocca, scatta l'effetto masticazione compulsiva. I primi minuti, bocca e naso viaggiano alla pari: una coperta di legno calata sul frutto, accenni di ossidazione. Eppoi la frutta inizia ad infilarsi, a scalzare le rigidezze e a farsi percepire in tutta la sua maturità. Il monolite ti attraversa il cavo orale. Impatto. Speziatura, tannini tanti ma non ruvidi, glicerina. Se lo scavallamento di un vino verso l'eccellenza è dato dal suo porsi naturalmente, dal suo poggiarsi sulla qualità della materia prima col minimo di interferenze, qui siamo dalle parti giuste. Qui si pesa l'uva, si perdona quel rovere eccedente, si gusta la sorsata senza dolcezze o alcool scomposti. Qui si può ragionare sui dettagli dell'annata, su un principio di ossidazione più o meno avvertibile, su dove la 2000 e 2001 erano superiori. Ma non sulla qualità assoluta di un simile progetto sul Montepulciano. 90/100.
Signore, la Bella.
Munjebel 7 Bianco (Frank Cornelissen)
Okay. Siete in un cinema, si spengono le luci, partono i titoli di testa. Fin qui tutto bene. Inizia. Passano 5 minuti, non ci capite un cazzo. Passano 10 minuti, ci capite ancora meno. Dopo mezz'ora nella vostra testa ci sono una serie di immagini certamente potenti che però vi fanno sentire come un bambino deficiente di fronte ad un puzzle di 1000 tessere. Avete tutta una serie di sensazioni: impotenza, abbandono, rabbia. Avete l'impulso di andare via. Resistete. Arrivate alla fine del primo tempo. Vi guardate attorno sbigottiti. Vi sembra che qualcuno vi abbia preso il cervello e ci abbia giocato con un Minipimer. Capite che, in fondo, la cosa può essere positiva. Inizia il secondo tempo. E tutto inizia ad incastrarsi. Cominciate a trovare un senso, profondissimo e quasi doloroso tant'è ancestrale, legate alle emozioni più intime. Capite che non c'è niente da capire. Capite che la potenza di quelle immagini sono il legante più semplice del mondo. Capite che vi hanno raccontato una storia e che è tanto intima quanto universale, che potete rigirarla come volete e questa coinciderà col mondo, sposterà il (vostro) mondo di un grado e ve lo farà apparire nuovo. Capite che quello è Cinema.
Non so se Cornelissen è un Lynch o un Godard. O un semplice contadino, intellettualmente contadino. Non so, e potrebbe importare poco, chi e cosa voglia essere. Facciamo scomparire l'autore e godiamoci il film prodotto.
Munjebel 7 Bianco
Cast: Grecanico Dorato, Coda di Volpe, Caricante, Cataratto.
Produzione: lunga macerazione sulle bucce.
Location: Solicchiata, Etna.
Anno: 2010.
1° TEMPO
Il colore è un ramato non troppo marcato. Leggermente torbido. Al naso sembra esplosa una fialetta puzze-da-vino: volatile, odori fermentativi, calcare, qualcosa-di-naturale-ma-ossidato, eau de merde. Meglio la bocca, con un filo di carbonica ma distesa. Quella tannicità che aggiunge carattere. Là in fondo (molto in fondo) un rimando al frutto.
Fine 1° tempo.
Intervallo.
Fissarsi negli occhi e capire che sta succedendo.
Decidere di resistere.
2° TEMPO
E' passata circa un'ora. Il colore cambia. Meno torbido, più saldo. Al naso l'effetto qualcuno-mi-ha-cambiato-il-vino-nel-bicchiere: spezie orientali, il frutto maturo dell'albicocco, del pero. Bocca dolce/nondolce a matrioska, ovvero apertura ad -anta effetti e sensazioni. Cristallino e terreno, levitante eppure così ancorato alla terra. Rotondamente si attacca al palato rilasciando quanto avevi colto al naso.
Fine.
E maledisci l'ottuso formato di soli 75 cl.
4 stelle Mereghetti o 95/100 campovinati.
E maledisci l'ottuso formato di soli 75 cl.
RispondiEliminaAmen
E' un pò di tempo che, nonstante mi piacciano, tendo ad accantonare i bombardoni tipo Harimann in favore di vini più snelli. Per dire: 10 giorni fa abbiamo fatto una cena tra amici e abbiamo spazzolato una dozzina di bottiglie in 7 tra spumanti e champagne, con vini stile Kurni ci saremmo, probabilmente, fermati alla metà.
RispondiEliminaBoh, non so, magari sto attraversando un periodo di eno-fighettismo.
Oramai l'eno-fighettismo sta diventando una definizione trasversale, cioè, uno non può più neanche bersi un Lambrusco in santa pace... Io 'sti vinoni continuo a cercarli e a farmeli piacere, insomma, le consistenze (o le dimensioni) per me contano. Certo è che determinati vini non certo palestrati sono sempre più sulla mia tavola: ultimo esempio il Contadino 8 (annata 2010) del Cornelissen è da bersi attaccandosi al collo della bottiglia. Slurp e megaslurp.
RispondiEliminaA sì? Comodo parlare quando uno se ne intende...
RispondiEliminaE io allora adesso vi seppellisco con la mia crassa ignoranza (che vino si accompagna con la ignoranza, quando è crassa?): a me non (mi) piace il Lambrusco, che mi pare un compromesso tra l'acidulo ed il gazzosino e non mi piacciono nemmeno 'sti cazzi di vini barriconi, che sanno di legno e - soprattutto - sembrano tutti uguali. A me (mi) piace (per dire) il Morellino di Scansano.
Dottor Gato, sono grave?
Per tua informazione i Lambruschi non sono tuttti un compromesso tra l'acidulo ed il gazzosino..provare per credere.Basta solo saper "sieliere" come dicono a "Modna".ciao Gian Paolo
RispondiEliminaAmico mio, il "provare per credere" del caro Gian Paolo credo stia a significare che intende convertirti al lato buono del Lambrusco anche a costo di arrivare alle mazzate (o, forse, a partire dalle mazzate). Perché esiste un lato buono del Lambrusco nella miriade di produttori e variabili e sottocategorie. Così come esiste un "lato ciofeca" nel Morellino di Scansano.
RispondiEliminaQuindi, in sostanza, si, sei grave ma rimediabile (Attento e appunti col prossimo post: si parla di Lambrusco).
lo aspetto con ansia......il post sul Lambro ...ci si vede presto .ciao GP
RispondiEliminaP.S. il sab 12 e domenica 13 c'è Terre di Vite a Levizzano con tanti bravi produttori..tranne uno ovviamente ..io :) è veramente interessante prova a "guggolare".se hai bisogno chiama.ciao