Prima che procediate nella lettura del post, si vorrebbe rimarcare una cosa. Ossia il tentativo ad ogni costo di evitare di cadere in una fastidiosa elegia dei "bei tempi andati"; una strada che, se imboccata, porterebbe solo ad una lenta discesa verso il becero sentimentalismo e l'andropausa. Sola e unica intenzione è quella di ricordare un periodo, precisamente quello della mia iniziazione al vino, qualcosa a cavallo degli anni '90. Lanciare uno sguardo sul passato. Riscaldare i muscoli della memoria. Un'operazione che comporta qualche paragone col presente. Giudicando il minimo possibile. Perché, per chiarezza, mi piace molto questo presente (beh, molte cose) e non vorrei essere in altro luogo e tempo che qui e ora.
In un Evo precedente, qualche quinquennio fa, c'erano meno vini (e costavano meno), c'erano le Guide (quelle di carta, quelle che erano un riferimento, quelle che spostavano il mercato), c'erano più soldi.
In quell'epoca lontana un blog era una specie di sfogo sulla pelle simile ad un brufolo; il vino naturale era... beh, vino e naturale erano due parole poco usate nella stessa frase; un ex avvocato americano invadeva la Francia e le diceva: "Sei stata parkerizzata"; Veronelli era vivo e insegnava il concetto di anarchia e beveva nei centri sociali; Luca Maroni premiava vini che erano effettivamente più buoni degli altri e ti spiegava perché.
L'unione di molti di questi elementi (soprattutto il più soldi) faceva si che ogni tanto si potessero bere dei Bordeaux (nota 1) senza fare un mutuo, che acquistare un Monfortino in enoteca non richiedesse la scansione del proprio 740 (o come cavolo si chiama ora) e la tenuta in ostaggio di un familiare. Che fosse meno complicato essere (o ritenersi) aggiornati, formarsi una cultura a 360°. Che c'erano referenti critici precisi, autorevoli, magari un po' rompicoglioni, ma c'era una dialettica e non l'atomizzazione del pensiero attuale.
Si veniva su creandosi dei capisaldi, dei canoni di gusto che erano il più possibile raffrontati col mondo. Bevevi un grande Chardonnay italiano? Eccolo subito dopo messo a confronto con dei Borgogna e/o dei californiani e/o degli australiani. Quello Syrah toscano pareva tanto buono? E zac..., vediamo come si comporta col Grange di Penfolds. E ci si sentiva più sicuri, si aveva l'idea che un quadro generale fosse possibile farlo, si poteva parlare per esperienza diretta, si potevano bastonare tutti gli chateau del mondo perché li avevi assaggiati e comparati. Oppure potevi innamorartene e farti una cantinetta.
E questo ci riporta ad un altro punto. Il numero dei vini. La quantità di cantine che era 1/10 (o 1/100) di quella attuale. La (salutare) esplosione del vino di qualità in ogni zona d'Italia, che ha portato il numero delle cantine ad una tendenza d'espansione matematica vicino ad ∞ , era ancora di là da venire. I capisaldi erano lì, alla luce del sole, erano vini delle zone storiche, erano i Sassicaia, i Solaia e la pattuglia di super-tuscans; erano i Barolo e Barbaresco, erano i Conterno, i Sandrone, i Gaja, i new-age e old-wave, i si-barrique e i no-barrique. Erano i Tasca d'Almerita. Erano i Montepulciano di Valentini. Erano i grandi outsiders, gli emergenti da zone considerate di serie B che volevano la promozione, che giustamente pensavano di starci sul Grande Carrozzone, di avere le qualità per giocarsela con tutti. Tutti da sbottigliare come e quando si voleva e i soli limiti erano la gonfiezza del portafoglio e la curiosità. Erano tanti ma non una folla. Erano una lista annuale affrontabile, gestibile. Erano reperibili e costavano perlopiù il giusto (nota 2 di spiegazione ai concetti di reperibilità e costo giusto).
E tra le tante bottiglie caposaldo, ce ne sono un paio che hanno brillato nel mio personale empireo per un paio di stagioni. E sono due vini di Enrico Fossi, toscano di Signa. Che, ovviamente, mica scoprii da solo. Allora ero bravo e compravo tutte le guide. E in quella di Veronelli lessi punteggioni da paura su quasi tutta la linea. E che linea, essendo il buon Fossi capace di produrre;
il Conteso, un Sauvignon;
il Primopeso, uno Chardonnay;
il Renano, un Riesling Renano;
il Terrantica, un Pinot Bianco;
il Piné, un Pinot Nero;
il Portico, un Merlot;
il Sassoforte, un Cabernet Sauvignon;
l'Unico, un Gamay;
il Vignavento, un Sangiovese.
Questo breve elenco inizia a dare un'idea del personaggio e della sua volontà enciclopedica di rapportarsi con l'uva. Ed introduce a quelli che sono i due pezzi forti, loro si sempre capaci di oscillare tra i 93 e i 95 centesimi in ogni edizione veronelliana (nelle veci del collaboratore Daniel Thomases). Lo Syrah e il Malbec.
L'apice assoluto queste due bottiglie lo raggiunsero con l'annata 1999. Vini opulenti, pirotecnici nella consistenza, ma anche ampi, espansivi, selvatici olfattivamente. Un Circo Barnum di odori e una crema fruttosa in bocca. Tanto legno ma neanche quello riusciva a tenere a freno tale comunicatività. Dei vini mediterranei assoluti. Così me li ricordo.
Le cose poi cambiano. E in fretta. Ma nel gioioso assedio di 1000 idee e vini nuovi, è bello rituffarsi nella storia. Nella propria storia. Con nessun conto da saldare, ma solo capire cosa gli/mi è successo da quei fulgidi 1999.
Ed eccole qua, le ultime annate assaggiate di recente (nota 3 ancora a parlare di soldi).
Syrah 2005: il primo impatto è col nero e le sue sfumature marroncine ai bordi. Estratto, glicerina, iper-pigmentazione: tutto da primato, tutto da uve a maturità assoluta. Eppoi. Gli odori prepotentemente incanalati dall'alcool, quasi un cuneo di frutta e legno in attesa di aprirsi. Epperò. Soprattutto legno, tanto legno, tanto smalto e lacca. E il frutto sotto, bloccato. Eppoi. Bocca che si ritrova quasi a masticare tanta è la massa. Epperò. Alcool che parte, tannino che frena. Monodimensionalità dove una volta si arrivava alla quarta dimensione. Eppoi. L'attesa che qualcosa cambi, che si sblocchi il frutto, che tanta materia inizi a liberare le sensazioni giuste, quelle che ricordavi. Che inizi a comunicare. Eppoi. Niente. Ho atteso il giorno dopo. Quello dopo ancora. L'inizio della decadenza, il vino che cedeva naturalmente all'ossidazione e ancora il legno era lì impettito. Con l'Australia come riferimento. Quando una volta era il sud della Francia. Epperò. Si merita un voto, senza nostalgie o sentimentalismi. Obbiettivo, per quel che si può. 87/100.
Malbec 2005: anche qui è l'inchiostro. Solo una bordatura più viva, melanzana. Come sempre, Fossi non risparmia nulla nelle consistenze. E nei legni. Che però qui inviano sensazioni dolci, si intrecciano con il fruttato rosso sotto spirito. Se prima gli odori si veicolavano appuntiti, qui l'angolo viene smussato. Scordarsi quel selvatico aprirsi di certe vecchie edizioni. Ora è un vino-legno, ora la concia delle botti piccole ne normalizza lo spettro. Ma la bocca mantiene un equilibrio, tannino e alcool e un filo di acidità giocano insieme. E giocano abbastanza bene. E nei giorni svelano anche altro, fanno intravedere un maggiore compattamento e liberano della frutta, della prugna, del lampone. E che lo spediscono dritto ad un 90/100. Non alla memoria. Ma al presente.
Nota 1: anche se già all'epoca era abbastanza chiaro che la vera mecca d'oltralpe era il Rodano e i vari Chapoutier o Guigal o Chave o Jaboulet o Clape.
Nota 2: essendo molte meno le cantine (e, quindi, i vini), un enotecario riusciva a stare dietro alle uscite, riusciva a concentrarsi maggiormente negli assaggi e negli acquisti, viveva una vita di sereno e cadenzato aggiornamento professionale tra qualche degustazione, qualche rappresentante, l'annuale pellegrinaggio al Vinitaly. E ogni tanto si imbatteva in un vino dal costo moderato (adesso arrivo a quantificare questo moderato) e prodotto in un numero decente di bottiglie e che poteva, quindi, comprare in grossi quantitativi e proporre col sorriso stampato ad una clientela altrettanto sorridente. Tra le decine di esempi che riaffiorano tra i buchi della mia memoria, ricordo vividamente l'acquisto all'Enoteca Italiana di Bologna di un Montiano 2003 appena uscito sul mercato, acquisto suggeritomi da un quasi emozionato enotecario e presentato come "...un grande merlot laziale di Cotarella,... diventerà famoso... ne ho comprate 720 bottiglie... e costa solo 15.000 lire...". Per la cronaca: quel giorno acquistai anche un Barolo Gran Bussia 1990 di Aldo Conterno a 60.000 lire e un Montepulciano d'Abruzzo 1990 di Valentini a 65.000 lire. Paghetta finita ma avevo in casa almeno due Rolls Royce. Allora si viaggiava così.
Ah, e si, il Montiano mi piacque molto. E ancora di più Valentini. E poco poco Conterno.
Nota 3: sia Syrah che Malbec costavano all'epoca 50.000 lirette, prezzo che li inseriva nella categoria dei "piuttosto carucci". La normale conversione lira/euro li ha portati a costare attualmente sui 45 euro.
In un Evo precedente, qualche quinquennio fa, c'erano meno vini (e costavano meno), c'erano le Guide (quelle di carta, quelle che erano un riferimento, quelle che spostavano il mercato), c'erano più soldi.
In quell'epoca lontana un blog era una specie di sfogo sulla pelle simile ad un brufolo; il vino naturale era... beh, vino e naturale erano due parole poco usate nella stessa frase; un ex avvocato americano invadeva la Francia e le diceva: "Sei stata parkerizzata"; Veronelli era vivo e insegnava il concetto di anarchia e beveva nei centri sociali; Luca Maroni premiava vini che erano effettivamente più buoni degli altri e ti spiegava perché.
L'unione di molti di questi elementi (soprattutto il più soldi) faceva si che ogni tanto si potessero bere dei Bordeaux (nota 1) senza fare un mutuo, che acquistare un Monfortino in enoteca non richiedesse la scansione del proprio 740 (o come cavolo si chiama ora) e la tenuta in ostaggio di un familiare. Che fosse meno complicato essere (o ritenersi) aggiornati, formarsi una cultura a 360°. Che c'erano referenti critici precisi, autorevoli, magari un po' rompicoglioni, ma c'era una dialettica e non l'atomizzazione del pensiero attuale.
Si veniva su creandosi dei capisaldi, dei canoni di gusto che erano il più possibile raffrontati col mondo. Bevevi un grande Chardonnay italiano? Eccolo subito dopo messo a confronto con dei Borgogna e/o dei californiani e/o degli australiani. Quello Syrah toscano pareva tanto buono? E zac..., vediamo come si comporta col Grange di Penfolds. E ci si sentiva più sicuri, si aveva l'idea che un quadro generale fosse possibile farlo, si poteva parlare per esperienza diretta, si potevano bastonare tutti gli chateau del mondo perché li avevi assaggiati e comparati. Oppure potevi innamorartene e farti una cantinetta.
E questo ci riporta ad un altro punto. Il numero dei vini. La quantità di cantine che era 1/10 (o 1/100) di quella attuale. La (salutare) esplosione del vino di qualità in ogni zona d'Italia, che ha portato il numero delle cantine ad una tendenza d'espansione matematica vicino ad ∞ , era ancora di là da venire. I capisaldi erano lì, alla luce del sole, erano vini delle zone storiche, erano i Sassicaia, i Solaia e la pattuglia di super-tuscans; erano i Barolo e Barbaresco, erano i Conterno, i Sandrone, i Gaja, i new-age e old-wave, i si-barrique e i no-barrique. Erano i Tasca d'Almerita. Erano i Montepulciano di Valentini. Erano i grandi outsiders, gli emergenti da zone considerate di serie B che volevano la promozione, che giustamente pensavano di starci sul Grande Carrozzone, di avere le qualità per giocarsela con tutti. Tutti da sbottigliare come e quando si voleva e i soli limiti erano la gonfiezza del portafoglio e la curiosità. Erano tanti ma non una folla. Erano una lista annuale affrontabile, gestibile. Erano reperibili e costavano perlopiù il giusto (nota 2 di spiegazione ai concetti di reperibilità e costo giusto).
E tra le tante bottiglie caposaldo, ce ne sono un paio che hanno brillato nel mio personale empireo per un paio di stagioni. E sono due vini di Enrico Fossi, toscano di Signa. Che, ovviamente, mica scoprii da solo. Allora ero bravo e compravo tutte le guide. E in quella di Veronelli lessi punteggioni da paura su quasi tutta la linea. E che linea, essendo il buon Fossi capace di produrre;
il Conteso, un Sauvignon;
il Primopeso, uno Chardonnay;
il Renano, un Riesling Renano;
il Terrantica, un Pinot Bianco;
il Piné, un Pinot Nero;
il Portico, un Merlot;
il Sassoforte, un Cabernet Sauvignon;
l'Unico, un Gamay;
il Vignavento, un Sangiovese.
Questo breve elenco inizia a dare un'idea del personaggio e della sua volontà enciclopedica di rapportarsi con l'uva. Ed introduce a quelli che sono i due pezzi forti, loro si sempre capaci di oscillare tra i 93 e i 95 centesimi in ogni edizione veronelliana (nelle veci del collaboratore Daniel Thomases). Lo Syrah e il Malbec.
L'apice assoluto queste due bottiglie lo raggiunsero con l'annata 1999. Vini opulenti, pirotecnici nella consistenza, ma anche ampi, espansivi, selvatici olfattivamente. Un Circo Barnum di odori e una crema fruttosa in bocca. Tanto legno ma neanche quello riusciva a tenere a freno tale comunicatività. Dei vini mediterranei assoluti. Così me li ricordo.
Le cose poi cambiano. E in fretta. Ma nel gioioso assedio di 1000 idee e vini nuovi, è bello rituffarsi nella storia. Nella propria storia. Con nessun conto da saldare, ma solo capire cosa gli/mi è successo da quei fulgidi 1999.
Ed eccole qua, le ultime annate assaggiate di recente (nota 3 ancora a parlare di soldi).
Syrah 2005: il primo impatto è col nero e le sue sfumature marroncine ai bordi. Estratto, glicerina, iper-pigmentazione: tutto da primato, tutto da uve a maturità assoluta. Eppoi. Gli odori prepotentemente incanalati dall'alcool, quasi un cuneo di frutta e legno in attesa di aprirsi. Epperò. Soprattutto legno, tanto legno, tanto smalto e lacca. E il frutto sotto, bloccato. Eppoi. Bocca che si ritrova quasi a masticare tanta è la massa. Epperò. Alcool che parte, tannino che frena. Monodimensionalità dove una volta si arrivava alla quarta dimensione. Eppoi. L'attesa che qualcosa cambi, che si sblocchi il frutto, che tanta materia inizi a liberare le sensazioni giuste, quelle che ricordavi. Che inizi a comunicare. Eppoi. Niente. Ho atteso il giorno dopo. Quello dopo ancora. L'inizio della decadenza, il vino che cedeva naturalmente all'ossidazione e ancora il legno era lì impettito. Con l'Australia come riferimento. Quando una volta era il sud della Francia. Epperò. Si merita un voto, senza nostalgie o sentimentalismi. Obbiettivo, per quel che si può. 87/100.
Malbec 2005: anche qui è l'inchiostro. Solo una bordatura più viva, melanzana. Come sempre, Fossi non risparmia nulla nelle consistenze. E nei legni. Che però qui inviano sensazioni dolci, si intrecciano con il fruttato rosso sotto spirito. Se prima gli odori si veicolavano appuntiti, qui l'angolo viene smussato. Scordarsi quel selvatico aprirsi di certe vecchie edizioni. Ora è un vino-legno, ora la concia delle botti piccole ne normalizza lo spettro. Ma la bocca mantiene un equilibrio, tannino e alcool e un filo di acidità giocano insieme. E giocano abbastanza bene. E nei giorni svelano anche altro, fanno intravedere un maggiore compattamento e liberano della frutta, della prugna, del lampone. E che lo spediscono dritto ad un 90/100. Non alla memoria. Ma al presente.
Nota 1: anche se già all'epoca era abbastanza chiaro che la vera mecca d'oltralpe era il Rodano e i vari Chapoutier o Guigal o Chave o Jaboulet o Clape.
Nota 2: essendo molte meno le cantine (e, quindi, i vini), un enotecario riusciva a stare dietro alle uscite, riusciva a concentrarsi maggiormente negli assaggi e negli acquisti, viveva una vita di sereno e cadenzato aggiornamento professionale tra qualche degustazione, qualche rappresentante, l'annuale pellegrinaggio al Vinitaly. E ogni tanto si imbatteva in un vino dal costo moderato (adesso arrivo a quantificare questo moderato) e prodotto in un numero decente di bottiglie e che poteva, quindi, comprare in grossi quantitativi e proporre col sorriso stampato ad una clientela altrettanto sorridente. Tra le decine di esempi che riaffiorano tra i buchi della mia memoria, ricordo vividamente l'acquisto all'Enoteca Italiana di Bologna di un Montiano 2003 appena uscito sul mercato, acquisto suggeritomi da un quasi emozionato enotecario e presentato come "...un grande merlot laziale di Cotarella,... diventerà famoso... ne ho comprate 720 bottiglie... e costa solo 15.000 lire...". Per la cronaca: quel giorno acquistai anche un Barolo Gran Bussia 1990 di Aldo Conterno a 60.000 lire e un Montepulciano d'Abruzzo 1990 di Valentini a 65.000 lire. Paghetta finita ma avevo in casa almeno due Rolls Royce. Allora si viaggiava così.
Ah, e si, il Montiano mi piacque molto. E ancora di più Valentini. E poco poco Conterno.
Nota 3: sia Syrah che Malbec costavano all'epoca 50.000 lirette, prezzo che li inseriva nella categoria dei "piuttosto carucci". La normale conversione lira/euro li ha portati a costare attualmente sui 45 euro.
Sì, sì, è vero, anche nel mio personale empireo brillarono per uno o due anni il Syrah e il Malbec di Fossi.
RispondiEliminaPoi, per fortuna, rinsavii.
Agilulfo
Veramente un'altra epoca, ma allora mi innescò un meccanismo di "acquisto compulsivo": di '99 ne comprai in Toscana e ne bevvi almeno un cartone alle Maschere a Sarsina. Già dalla 2003 qualcosa cambiò, il vino ma anche io. E la 2005 è sicuramente "uno fra i tanti", buono, per carità, ma la mia barra è diretta da altre parti.
RispondiEliminaEugenio,
RispondiEliminanon c'entra una mazza col topic, ma vai qui:
http://www.oldbridgecellars.com/data/AWRI_10YrScrewcapTrial.pdf
E poi dicono che non ho ragione........
A presto.
Eugenio,
RispondiEliminasei l'unica persona al mondo che nel 2003 riusciva a comprare vini pagandoli in Lire
(l'Euro circolava già da due anni...)
Romano Prodi
Questa è una falsità. Io ho sempre regolarmente saldato ogni conto in Paperdollari lasciando lauti centesimi di mancia. E dove il potere di quella moneta forte non arrivava, ero un convinto assertore dello scambio in natura. Quindi, caro Romano, senza rancore ma adesso devo far saltare il governo del mio condominio: sai, è una questione di principio.
RispondiEliminaTuo, Fausto Bertinotti
E' trascorso qualche anno, ma ci ricordiamo ancora la bontà del SYRAH e del MALBEC, accompagnati da delle stupende bistecche, che avemmo il piacere di consumare, alla tua cantina, in compagnia tua e della tua signora a Signa.
RispondiEliminaQuanti anni sono trascorsi ma i bei ricordi restano per sempre. Un cordiale saluto e, spero, a presto sentirci e vederci. Massimo Malanima, Maurizio Agonigi, Paola Vaiani.- malanimax@yahoo.it