Agazzano è una ridente località nel piacentino, una cittadina, un borghetto, uno di quei posti che anche un TomTom passa 10 minuti a chiedersi "Ma dove cazzo è 'sto posto?". Diciamo che è un centro storico medievale assediato dalle villette a schiera e dalle palazzine anni '70. E in mezzo a questo centro c'è un castello. Il Castello di Agazzano (lapalisse). E questo castello in centro diventa per un week-end all'anno un ulteriore centro, quello del vino naturale italiano. E questo succede da 3 anni.
E nell'arco di 3 anni, le presenze si sono moltiplicate. Sempre più gente, sempre più consumatori curiosi e informati (cioè, poche scene del tipo riempi-il-bicchiere-e-scappa e tante domande), un pigia-pigia quasi automatico nelle salette del castello.
Perché, bisogna dirlo, non è che l'imbucata Agazzano ti venga incontro: bisogna proprio decidersi di muoversi e puntare il volante in quella direzione.
E cosa decide il successo di quella che potrebbe essere solo-un'altra-manifestazione-sul-vino-naturale? L'elenco dei produttori, che qui è gustoso e invitante. L'organizzazione, agile e oliata e sorridente. Il periodo dell'anno, coi primi soli e l'idea di riscaldarsi prima di quella sarabanda che saranno Cerea e Villa Favorita (nota 1).
I produttori. Perlopiù sorridenti, quasi felici di questo contatto con la (relativa) massa, perlopiù rilassati e rilassanti. Nonostante le legnate che si sta beccando il compartimento vino e il sottocompartimento vendita. Sempre più bravi ed enologicamente preparati. Perlopiù consapevoli che produrre in un certo modo (genericamente naturale) è un atto primariamente morale ed etico. E che questo atto può portare a picchi gustativi assoluti. Produttori perlopiù investiti da una moda (o pseudo-moda o trend o crescita di interesse nel pubblico) che può irritare solo chi ragiona munito di paraocchi e tende a mettere paletti in ogni dove. Produttori che perlopiù non la cavalcano 'sta benedetta moda ma ne sono il motore, la causa diretta derivata dal solo fatto di fare vini sempre più buoni e digeribili (nota 2).
Poi, andando nello specifico della giornata (e nell'ovvio), tanti vini buoni, molti medi, alcuni mediocri. In generale prodotti più precisi, meno distorsioni o puzze (la categoria generale con cui spesso si rigettano questi prodotti). La mano dei viticoltori pare essersi fatta più ferma in cantina, la parte dove spesso si denunciavano insicurezze. Punte di eccellenza nei soliti (per me) noti. E qualche sorpresa.
Nel dettaglio (nota 3):
Iniziare coi bianchi de La Castellada significa fregarsi in qualche modo: il resto dovrà essere mooolto buono per andarci sopra. Dopo qualche annata in cui faticavano ad esprimere una marcia in più come compostezza e spettro olfattivo, i 2006 riportano l'azienda friulana ai vertici. Batteria tutta su livelli altissimi, col picco del Pinot Grigio, orange wine senza nessun estremismo, di compostezza quasi didattica e capace di entrare in bocca preciso, di aprirsi e di finire senza asperità. Con quel surplus gustativo orange. E Rosso Della Castellada 2004 pepato e verdeggiante bordolese di classe.
E sopra La Castellada? Dario Princic. Altro friulano, altro maceratore, stessa grande serie di vini. Spettacolari bianchi, Pinot Grigio e Trebez 2006 di materia estrema e di sontuosa apertura aromatica. Bocche tanniche con l'amaro che accompagna la dolcezza di frutto. Esplosivi ed equilibrati. Spettacolo.
Sempre in Friuli, altre due aziende: Terpin e Borc Dodon. Sorprendente il primo con almeno due ottime cose: il Pinot Grigio 2009 e il Sauvignon 2008. Macerati circa una settimana, hanno l'espressività di questa tipologia pur mantenendosi più controllati nei sapori, quasi un fortunato compromesso tra espressione aromatica tradizionale e bucciosa. Borc Dodon presentava una gamma piuttosto vasta di vini dalla media qualitativa alta: al top l'Uis Blancis 2006, carattere da rosso con aromaticità floreali e dolci, ruvidezze tanniche sotto controllo.
Poi nel Lazio. In mancanza de Le Coste (che rivedremo a Cerea), ecco La Visciola dal frusinate. Donna Rosa 2009 (Passerina in purezza) ancora alla ricerca di un'identità aromatica, leggermente affumicata al naso ma bocca assai interessante con uno scheletro acido ottimamente integrato. Poi 3 cru di Cesanese, un salire di complessità derivato da età delle vigne e posizione del terreno che ha un suo ottimo compimento nel Mozzatta 2009: nulla di troppo grasso e glicerinoso, vino dimensionato, certo, ma che raggiunge bevibilità nell'equilibrio, nell'acido/tannico che a tratti saltano fuori ma sempre appoggiati sul frutto. Da seguire.
Unico romagnolo era Stefano Bariani col suo Fondo San Giuseppe. Che oltre i 2009 che conosciamo già, aveva delle anteprime. E che anteprime: Tèra 2010 e Fiorile 2010. Il Trebbiano con un naso ancora ridotto (ma che ad ogni roteata di bicchiere sembrava togliere un velo sopra il frutto) ed una bocca stupenda, un gradino sopra la 2009 come intensità ed equilibrio, un ulteriore tassello verso il trebbiano ideale sognato da Bariani. L'Albana l'ennesimo tassello di un'uva in via di redifinizione (con qualcosa d'antico, anzi moderno): quindi dolcezza alcolica, consistenza da primato, beva quasi ottimale.
Ca' De Noci: questi reggiani non sbagliano un colpo. I rifermentati in bottiglia sinonimi di piacevolezza e beva. Il Gheppio 2007 (Cabernet e Malbo), mai così opulento. E, last but not least, Nottediluna 2008, il bianco macerato 10 gironi, Moscato + Malvasia + Spergola, odori che rimangono conficcati nelle nari e nella testa, bocca che gioca le carte dell'equilibrio all'interno di un'ottima consistenza, della facilità senza faciloneria. Slurp.
Da Cortona con furore. Stefano Amerighi e il suo Syrah 2008. Al terzo anno di produzione il gioco comincia a farsi di quelli seri. Mai mancata la concentrazione, ora il frutto si è assestato e comincia ad esprimere quel quid in più. Con tutti i varietali dello Syrah a posto e una bocca simil-velluto, appena frenata nel finale da una leggera sensazione glicerinosa. Uno dei migliori della giornata a cui appuntare solo un'eccessiva compostezza per scalare un ulteriore gradino.
In Veneto due segnalazioni: Monteforche e Monte dall'Ora. La prima con Cassiara 2009 (Malvasia e Garganega) di buona mineralità, a cavallo tra dolcezza e acidità, un po' disturbato al naso da un accenno di volatile ma dalla bocca integra e fragrante; Cabernet Franc 2009, vegetale e diretto al naso, un frutto non amplissimo di grande intensità che trova corrispondenza totale nel palato, anche qui cercando l'equilibrio tra espressività e beva; e poi il Vecchie Varietà 2009, nome programmatico nel tentare il recupero nella vinificazione di Cavarara e Pataresca, e qui gli odori rimandano al fruttato floreale di certe Grenache sud-francesi, in quell'essere delle caramelline di frutto dolce, e la bocca che rimanda solo a tratti quanto promesso, che è esile e tende a bucarsi nel finale. Monte dall'Ora: Amarone soprattutto. 2004 decandente al naso, accenni di terziarizzazione che ne amplificano lo spettro ma fanno pagare qualcosa in una bocca iperdimensionata ma con qualche cedimento. 2006 che sale ancora di dimensione mantenendo il quadro fruttato solido, che da quel blocco non lascia trapelare pungenze alcoliche, quasi un Porto Vintage meno dolce, solo qualche esuberanza legnosa che offusca appena il frutto, ma un Amarone di quelli giusti.
In Piemonte Guido Zampaglione e la sua Tenuta Grillo. Ottimi rossi, di grande fascino e personalità. Igea 2004 (Barbera) che appare ora composta, l'acidità del vitigno viene bilanciata dalla massa di frutto, smussata dall'alcool non fuori scala ma addolcente, acidità che si ritrova in bocca ma solo ad aggiungere freschezza alla beva. Pratoasciutto 2004, il Dolcetto che Zampaglione inizia a commercializzare ora, dopo il 2006 (di cui parlai qui), e se lì il riferimento era il Rodano, nel 2004 il paragone è la Borgogna; perché molti dei sentori del 2006 si ritrovano, ma in un quadro più rarefatto, più flebile. La base è sempre una piacevolezza dalle parti dell'eccellenza. Ma se qualcuno mi punta una pistola alla testa e dice scegli, io sto con la 2006.
Eppoi Cascina Tavijn. Azienda astigiana che ha come vino di punto un Grignolino. Che ad Agazzano non aveva e ha promesso di porre rimedio portandone un bancale a Villa Favorita. Impostazione giusta nella Barbera 2007, fragrante e ampia, carnosa con note di terra e frutta, acidità integrata; meno centrata la Barbera Riserva con una concia laccata da legno in esubero, amareggiante e frenante; Ruché 2007 dal varietale prepotente (quella rosa che rimanda alla cugina Lacrima di Morro d'Alba), di espressività diretta e schietta. Pure troppo. Da domare.
Il sardo Dettori aveva tutta la batteria al completo. E l'impressione generale è stata ancora di tanta materia, tanta passione, ma ancora ad uno scalino dalla piacevolezza. Vini brucianti, in alcuni casi con parametri fuori controllo. Di carattere, ma a volte di carattere violento. Come il Bianco 2007, dalla aromaticità soffocata e la bocca pungente. O il Dettori 2007, esemplare bomba di frutto, il rosso più autenticamente roboante epperò scoperto nell'alcool. O il Chimbanta 2007, di una certa suadenza aromatica, forse quello dall'aromaticità più ampia, che paga pegno nell'equilibrio. Vini interessanti, mai banali: ma che nel bicchiere, nel mio bicchiere, non hanno ancora trovato quella capacità di dialogo per arrivare alla piacevolezza assoluta.
Foradori ovvero Della Storia In Trentino. Riassaggiato il Granato 2007, tornato vicino ai suoi grandi vertici, è il turno del Fontanasanta Nosiola 2009: macerato 6 mesi sulle bucce in anfora, e in questo caso è solo un dettaglio tecnico. Perché nulla lo farebbe intuire, né il colore (giallo paglierino scarico), né l'odore e il sapore. Un'impressione generale di un vino di consistenza minima, di aromi primari, quasi industriali. Un qualcosa di sottile e semplice, di una buona freschezza in bocca. Un'impressione generale da uno-fra-i-tanti. Un'impressione che non ti aspetteresti da una Foradori.
Ecco. Adesso, dice il saggio, si dovrebbe tentare di ribere tutto con più calma e attenzione. Di prestare più attenzione a quei vini che lo richiedono, che magari erano in fasi strane del loro percorso. Si dovrebbe andare a trovare ogni singolo produttore e camminare chilometri di vigna. Si dovrebbe trovare una parola per ognuno, una parola che sia unica e, al tempo stesso, universale. Si dovrebbe ascoltare con estrema attenzione i vini, i vignaioli, le loro terre e poi comunicare. Si dovrebbe.
Nota 1: ad Agazzano, poi, si assiste al miracolo dell'unione dei due universi contingenti (e convergenti) di VinNatur e Viniveri. E non sarò il primo e l'ultimo che si domanda perché non unire le due cose e non sarò il primo e ultimo che si autorisponde che no, non è possibile perché non vogliono. Semplice e chiaro.
Nota 2: lo so, ancora 'sta cosa della digeribilità che qualcuno non digerisce bene. Perché è un parametro poco misurabile, un plus nella valutazione oggettiva di un vino, qualcosa di laterale rispetto alla qualità. Ma il fatto è che andare in queste manifestazioni significa quasi certamente scordarsi mal di testa o pesantezze di stomaco o parlare come se si avesse una patata in bocca. Significa ingollarsi circa 100 vini in 4 ore e andare alla macchina, guidare 3 ore, dare il 5 agli amici che ti hanno accompagnato e tornare a casa e farsi da mangiare e pensare "Adesso mi apro una bottiglia".
Nota 3: è bene premettere che per la natura à la volée della cosa, molti giudizi sono frutto di qualche minuto in piedi davanti ad uno stand, di una veloce rotazione del vino nel bicchiere, di diverse decise inspirate, di contatto con la bocca e deglutizione, di qualche attimo di riflessione e di brevi dialoghi col produttore. Pertanto, per una corretta e più rispettosa disamina dei singoli prodotti, è sempre meglio attendere occasioni meno mordi-e-fuggi. Anche se certi giudizi di pancia possono essere folgoranti e profetici: il corpo non mente (quasi) mai.
E nell'arco di 3 anni, le presenze si sono moltiplicate. Sempre più gente, sempre più consumatori curiosi e informati (cioè, poche scene del tipo riempi-il-bicchiere-e-scappa e tante domande), un pigia-pigia quasi automatico nelle salette del castello.
Perché, bisogna dirlo, non è che l'imbucata Agazzano ti venga incontro: bisogna proprio decidersi di muoversi e puntare il volante in quella direzione.
E cosa decide il successo di quella che potrebbe essere solo-un'altra-manifestazione-sul-vino-naturale? L'elenco dei produttori, che qui è gustoso e invitante. L'organizzazione, agile e oliata e sorridente. Il periodo dell'anno, coi primi soli e l'idea di riscaldarsi prima di quella sarabanda che saranno Cerea e Villa Favorita (nota 1).
I produttori. Perlopiù sorridenti, quasi felici di questo contatto con la (relativa) massa, perlopiù rilassati e rilassanti. Nonostante le legnate che si sta beccando il compartimento vino e il sottocompartimento vendita. Sempre più bravi ed enologicamente preparati. Perlopiù consapevoli che produrre in un certo modo (genericamente naturale) è un atto primariamente morale ed etico. E che questo atto può portare a picchi gustativi assoluti. Produttori perlopiù investiti da una moda (o pseudo-moda o trend o crescita di interesse nel pubblico) che può irritare solo chi ragiona munito di paraocchi e tende a mettere paletti in ogni dove. Produttori che perlopiù non la cavalcano 'sta benedetta moda ma ne sono il motore, la causa diretta derivata dal solo fatto di fare vini sempre più buoni e digeribili (nota 2).
Poi, andando nello specifico della giornata (e nell'ovvio), tanti vini buoni, molti medi, alcuni mediocri. In generale prodotti più precisi, meno distorsioni o puzze (la categoria generale con cui spesso si rigettano questi prodotti). La mano dei viticoltori pare essersi fatta più ferma in cantina, la parte dove spesso si denunciavano insicurezze. Punte di eccellenza nei soliti (per me) noti. E qualche sorpresa.
Nel dettaglio (nota 3):
Iniziare coi bianchi de La Castellada significa fregarsi in qualche modo: il resto dovrà essere mooolto buono per andarci sopra. Dopo qualche annata in cui faticavano ad esprimere una marcia in più come compostezza e spettro olfattivo, i 2006 riportano l'azienda friulana ai vertici. Batteria tutta su livelli altissimi, col picco del Pinot Grigio, orange wine senza nessun estremismo, di compostezza quasi didattica e capace di entrare in bocca preciso, di aprirsi e di finire senza asperità. Con quel surplus gustativo orange. E Rosso Della Castellada 2004 pepato e verdeggiante bordolese di classe.
E sopra La Castellada? Dario Princic. Altro friulano, altro maceratore, stessa grande serie di vini. Spettacolari bianchi, Pinot Grigio e Trebez 2006 di materia estrema e di sontuosa apertura aromatica. Bocche tanniche con l'amaro che accompagna la dolcezza di frutto. Esplosivi ed equilibrati. Spettacolo.
Sempre in Friuli, altre due aziende: Terpin e Borc Dodon. Sorprendente il primo con almeno due ottime cose: il Pinot Grigio 2009 e il Sauvignon 2008. Macerati circa una settimana, hanno l'espressività di questa tipologia pur mantenendosi più controllati nei sapori, quasi un fortunato compromesso tra espressione aromatica tradizionale e bucciosa. Borc Dodon presentava una gamma piuttosto vasta di vini dalla media qualitativa alta: al top l'Uis Blancis 2006, carattere da rosso con aromaticità floreali e dolci, ruvidezze tanniche sotto controllo.
Poi nel Lazio. In mancanza de Le Coste (che rivedremo a Cerea), ecco La Visciola dal frusinate. Donna Rosa 2009 (Passerina in purezza) ancora alla ricerca di un'identità aromatica, leggermente affumicata al naso ma bocca assai interessante con uno scheletro acido ottimamente integrato. Poi 3 cru di Cesanese, un salire di complessità derivato da età delle vigne e posizione del terreno che ha un suo ottimo compimento nel Mozzatta 2009: nulla di troppo grasso e glicerinoso, vino dimensionato, certo, ma che raggiunge bevibilità nell'equilibrio, nell'acido/tannico che a tratti saltano fuori ma sempre appoggiati sul frutto. Da seguire.
Unico romagnolo era Stefano Bariani col suo Fondo San Giuseppe. Che oltre i 2009 che conosciamo già, aveva delle anteprime. E che anteprime: Tèra 2010 e Fiorile 2010. Il Trebbiano con un naso ancora ridotto (ma che ad ogni roteata di bicchiere sembrava togliere un velo sopra il frutto) ed una bocca stupenda, un gradino sopra la 2009 come intensità ed equilibrio, un ulteriore tassello verso il trebbiano ideale sognato da Bariani. L'Albana l'ennesimo tassello di un'uva in via di redifinizione (con qualcosa d'antico, anzi moderno): quindi dolcezza alcolica, consistenza da primato, beva quasi ottimale.
Ca' De Noci: questi reggiani non sbagliano un colpo. I rifermentati in bottiglia sinonimi di piacevolezza e beva. Il Gheppio 2007 (Cabernet e Malbo), mai così opulento. E, last but not least, Nottediluna 2008, il bianco macerato 10 gironi, Moscato + Malvasia + Spergola, odori che rimangono conficcati nelle nari e nella testa, bocca che gioca le carte dell'equilibrio all'interno di un'ottima consistenza, della facilità senza faciloneria. Slurp.
Da Cortona con furore. Stefano Amerighi e il suo Syrah 2008. Al terzo anno di produzione il gioco comincia a farsi di quelli seri. Mai mancata la concentrazione, ora il frutto si è assestato e comincia ad esprimere quel quid in più. Con tutti i varietali dello Syrah a posto e una bocca simil-velluto, appena frenata nel finale da una leggera sensazione glicerinosa. Uno dei migliori della giornata a cui appuntare solo un'eccessiva compostezza per scalare un ulteriore gradino.
In Veneto due segnalazioni: Monteforche e Monte dall'Ora. La prima con Cassiara 2009 (Malvasia e Garganega) di buona mineralità, a cavallo tra dolcezza e acidità, un po' disturbato al naso da un accenno di volatile ma dalla bocca integra e fragrante; Cabernet Franc 2009, vegetale e diretto al naso, un frutto non amplissimo di grande intensità che trova corrispondenza totale nel palato, anche qui cercando l'equilibrio tra espressività e beva; e poi il Vecchie Varietà 2009, nome programmatico nel tentare il recupero nella vinificazione di Cavarara e Pataresca, e qui gli odori rimandano al fruttato floreale di certe Grenache sud-francesi, in quell'essere delle caramelline di frutto dolce, e la bocca che rimanda solo a tratti quanto promesso, che è esile e tende a bucarsi nel finale. Monte dall'Ora: Amarone soprattutto. 2004 decandente al naso, accenni di terziarizzazione che ne amplificano lo spettro ma fanno pagare qualcosa in una bocca iperdimensionata ma con qualche cedimento. 2006 che sale ancora di dimensione mantenendo il quadro fruttato solido, che da quel blocco non lascia trapelare pungenze alcoliche, quasi un Porto Vintage meno dolce, solo qualche esuberanza legnosa che offusca appena il frutto, ma un Amarone di quelli giusti.
In Piemonte Guido Zampaglione e la sua Tenuta Grillo. Ottimi rossi, di grande fascino e personalità. Igea 2004 (Barbera) che appare ora composta, l'acidità del vitigno viene bilanciata dalla massa di frutto, smussata dall'alcool non fuori scala ma addolcente, acidità che si ritrova in bocca ma solo ad aggiungere freschezza alla beva. Pratoasciutto 2004, il Dolcetto che Zampaglione inizia a commercializzare ora, dopo il 2006 (di cui parlai qui), e se lì il riferimento era il Rodano, nel 2004 il paragone è la Borgogna; perché molti dei sentori del 2006 si ritrovano, ma in un quadro più rarefatto, più flebile. La base è sempre una piacevolezza dalle parti dell'eccellenza. Ma se qualcuno mi punta una pistola alla testa e dice scegli, io sto con la 2006.
Eppoi Cascina Tavijn. Azienda astigiana che ha come vino di punto un Grignolino. Che ad Agazzano non aveva e ha promesso di porre rimedio portandone un bancale a Villa Favorita. Impostazione giusta nella Barbera 2007, fragrante e ampia, carnosa con note di terra e frutta, acidità integrata; meno centrata la Barbera Riserva con una concia laccata da legno in esubero, amareggiante e frenante; Ruché 2007 dal varietale prepotente (quella rosa che rimanda alla cugina Lacrima di Morro d'Alba), di espressività diretta e schietta. Pure troppo. Da domare.
Il sardo Dettori aveva tutta la batteria al completo. E l'impressione generale è stata ancora di tanta materia, tanta passione, ma ancora ad uno scalino dalla piacevolezza. Vini brucianti, in alcuni casi con parametri fuori controllo. Di carattere, ma a volte di carattere violento. Come il Bianco 2007, dalla aromaticità soffocata e la bocca pungente. O il Dettori 2007, esemplare bomba di frutto, il rosso più autenticamente roboante epperò scoperto nell'alcool. O il Chimbanta 2007, di una certa suadenza aromatica, forse quello dall'aromaticità più ampia, che paga pegno nell'equilibrio. Vini interessanti, mai banali: ma che nel bicchiere, nel mio bicchiere, non hanno ancora trovato quella capacità di dialogo per arrivare alla piacevolezza assoluta.
Foradori ovvero Della Storia In Trentino. Riassaggiato il Granato 2007, tornato vicino ai suoi grandi vertici, è il turno del Fontanasanta Nosiola 2009: macerato 6 mesi sulle bucce in anfora, e in questo caso è solo un dettaglio tecnico. Perché nulla lo farebbe intuire, né il colore (giallo paglierino scarico), né l'odore e il sapore. Un'impressione generale di un vino di consistenza minima, di aromi primari, quasi industriali. Un qualcosa di sottile e semplice, di una buona freschezza in bocca. Un'impressione generale da uno-fra-i-tanti. Un'impressione che non ti aspetteresti da una Foradori.
Ecco. Adesso, dice il saggio, si dovrebbe tentare di ribere tutto con più calma e attenzione. Di prestare più attenzione a quei vini che lo richiedono, che magari erano in fasi strane del loro percorso. Si dovrebbe andare a trovare ogni singolo produttore e camminare chilometri di vigna. Si dovrebbe trovare una parola per ognuno, una parola che sia unica e, al tempo stesso, universale. Si dovrebbe ascoltare con estrema attenzione i vini, i vignaioli, le loro terre e poi comunicare. Si dovrebbe.
Nota 1: ad Agazzano, poi, si assiste al miracolo dell'unione dei due universi contingenti (e convergenti) di VinNatur e Viniveri. E non sarò il primo e l'ultimo che si domanda perché non unire le due cose e non sarò il primo e ultimo che si autorisponde che no, non è possibile perché non vogliono. Semplice e chiaro.
Nota 2: lo so, ancora 'sta cosa della digeribilità che qualcuno non digerisce bene. Perché è un parametro poco misurabile, un plus nella valutazione oggettiva di un vino, qualcosa di laterale rispetto alla qualità. Ma il fatto è che andare in queste manifestazioni significa quasi certamente scordarsi mal di testa o pesantezze di stomaco o parlare come se si avesse una patata in bocca. Significa ingollarsi circa 100 vini in 4 ore e andare alla macchina, guidare 3 ore, dare il 5 agli amici che ti hanno accompagnato e tornare a casa e farsi da mangiare e pensare "Adesso mi apro una bottiglia".
Nota 3: è bene premettere che per la natura à la volée della cosa, molti giudizi sono frutto di qualche minuto in piedi davanti ad uno stand, di una veloce rotazione del vino nel bicchiere, di diverse decise inspirate, di contatto con la bocca e deglutizione, di qualche attimo di riflessione e di brevi dialoghi col produttore. Pertanto, per una corretta e più rispettosa disamina dei singoli prodotti, è sempre meglio attendere occasioni meno mordi-e-fuggi. Anche se certi giudizi di pancia possono essere folgoranti e profetici: il corpo non mente (quasi) mai.
Si i produttori erano sorridenti e felici,unico problema per scambiare due chiacchiere dovevi far la fila.Io non so dove tu hai trovato l'aromaticità nel P.grigio di Princic è anche vero che la mia asticella del gusto confronto alla tua è appena ad 2cm da terra, io l'ho trovato inespressivo e piatto, solo un vino estremo.Sassaia e Pico di Maule mi sono piaciuti, il Trebbiano di Pepe buonissimo un naso fantastico e una bocca piena di aromi,Ar.pe.pe vini molto eleganti,Porta del vento un nero d'avola dove si sentiva l'uva in bocca,Casa Caterina una cuvee 60 favolosa, il Fortana Sur lie di Mirco da berne a litri, e poi il mio podio personale,Pignoletto vigna del Grotto 09 già molto buono adesso,fra due anni al top, il Chianti cl di Badia Coltibuono,al primo posto Stupor Mundi di Sara Carbone un equilibrio perfetto in tutte le sue componenti,se ci fai caso vini con solo uve biologiche.Prosit Ciao Ivano
RispondiEliminaBravo Ivano, un report a completare le cose. Domenica c'era folla ma se giravi un attimo e aspettavi il tuo turno, c'era modo di scambiare qualche parola. Princic m'è piaciuto tutto ma lo sai che sono un estremista :), trovo solo strana la descrizione del pinot grigio che m'è parso estremamente espressivo: forse una bottiglia "sbagliata"? Da Maule non sono passato e li assaggerò a Villa Favorita. Pepe troppa gente e le ultime volte non mi avevano entusiasmato: anche lì rimedierò. Arpepe me li ricordo tanto, troppo sottili. Porta del Vento ho sentito i bianchi e lo spumante: mah, niente che mi sia piaciuto troppo, proverò il nero d'avola. Stupor Mundi a 'sto punto devo assolutamente provarlo. Grazie e a presto
RispondiEliminaPs: preparati, si sta organizzando una serata sui Malbo, inizia ad allenarti...
Domanda:
RispondiEliminavisto che in Romagna il Sangiovese non lo sappiamo fare, come erano quelli dei ns. colleghi toscani?
Qualche nome?
Oltre ai Chianti classico di Badia a Coltibuono, com'erano i Brunello di Montalcino (Pian dell'Orino, Campi di Fonterenza, Le chiuse, San Polino....)?
Così, per porre termini di paragone....
Massì, Gabriele, sterminiamo tutte le viti e riempiamo la Romagna di kiwi o, al massimo mele per farci il sidro...
RispondiEliminaVabbè, a parte gli scherzi, la zona toscana era abbastanza affollata e ho solo fatto degli assaggi al volo (cioè, molto più al volo degli altri) e quindi non ne ho scritto. Per quel che conta ecco cosa ricordo: Pian dell'Orino con un discreto Rosso e un Brunello puzzone e scomposto; Campi di Fonterenza ho avuto un millilitro di Brunello che sembrava sottile come della carta di riso e dalle parti della decadenza, neanche malaccio in fondo ma le vibrazioni del sapore mi erano quasi impercettibili; San Polino sapeva di tappo ma non sono riuscito a dirglielo in mezzo ai gomiti alti e gli altri se lo bevevano e quindi me ne sono andato. A Cerea e Volla Favorita, con più tempo, mi concentrerò di più. Forse.
Il giretto a Piacenza è stato come sempre piacevole e costruttivo (da questa gente si ha sempre da imparare) e decisamente divertente.
RispondiEliminaI vini che mi sono rimasti più impressi sono
Casa Caterina (bollicine)
Castellada (bianchi)
Foradori (rosso)
Forse non mi sono ancora abituato ad accettare certi sentori caratteristici dei vini più "naturali". Comunque mi sembra di capire che c'è una generale tendenza a presentare dei vini più puliti ed eleganti rispetto agli ultimi anni
Cosa ne pensate?
Secondo me in Romagna il Sangiovese bisogna vinificarlo in bianco con macerazione sulle bucce dell'albana...eh cosa dici cambio pusher?però come idea non è malvagia ....io prenoto due casse di Monte Brullo 2007 grazie,visto che a me il sangio mi piace chiaro! ciao GP
RispondiEliminaP.S.Euge al Vinitaly passi o sei solo in visita ai naturalisti, io sono al Pad. 1 banco dell'enoteca regionale, però sarò vestito come un santone a piedi nudi e spargerò letame di cavallo per tutta la fiera, mentre Gabriele- ancora non lo sà ..- sarà lì vicino vestito di un saio con al guinzaglio un bue e lancerà anatemi ...tipo" non bevete dal bicchiere di vetro ..il vetro è solo silice bevetelo in mezzo alla sabbia" e tirerà secchiate di sabbia di Rimini sui passanti. andremo avanti cosi per tutti i giorni della fiera.
@Anonimo: assolutamente. Molta più pulizia rispetto a qualche anno fa. E, forse, anche un palato "in mutazione" il nostro, molto più ben disposto ad accogliere certe sensazioni "naturali", ad accettare un difettuccio in cambio dell'ampiezza ed espansività di certi vini.
RispondiElimina@GP: direi che il Vinitaly lo passo, faccio Cerea e Villa Favorita. Mica per snobismo: io ci campeggerei attorno a Verona e mi farei tutto, ma proprio tutto. E' 'sta vita maledetta e quella cosa noiosa che si chiama "lavoro" (di cui ho in programma di liberarmi presto). Però, se riesco a venire, mi fan passare gratis dicendo "Sono l'amico del santone spargi-letame e di pazzo con la vacca attaccata"? Anche solo per riprendervi: YouTube servirà pure a qualcosa e il Paese deve sapere.