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PANEVINO: IL VINO E' UNA COSA SERIA E ALLORA FACCIAMOCI UNA RISATA

Un compito Gianfranco Manca al London Natural Wine Fair (tratto dal blog di Alice Feiring)
E insomma si era preso la macchina con un amico e si era andati a San Marino o Il Paese dell'IVA Ballerina, e passando lo stradone dove spuntano casualmente delle piante tra un Outlet e l'altro, si era arrivati ad un cartello che faceva strano e molto secolo-scorso "DOGANA", e dopo una rapida e molto italiana inversione a U si era alla fine arrivati all'Enoteca Valentini.
L'Enoteca Valentini è una roba che per molto tempo ha prodotto un involontario e pavloviano eccesso di salivazione anche al solo pensiero dei Beni-di-Dio conservati tra le sue mura e, soprattutto, dei prezzi dei suddetti Beni-di-Dio, prezzi che il titolare spuntava (e spunta) attraverso un'aggressiva politica di marketing denominata "Io ti compro un bancale di vino e te lo pago sull'unghia ma tu, produttore, devi farmi uno sconto" unita alla famosa IVA ribassata. 
Pertanto l'idea del pellegrinaggio all'eremo vinoso sammarinese era, come sempre, di curiosare tra gli scaffalli, cazzeggiare col titolare, controllare mentalmente la disponibilità della propria VISA e redigere un elenco delle priorità, fare una scortina di anta-bottiglie, saluti e sgommare verso casa.
Era un qualche giorno del 2007 e si stava spaccando l'Italia in quattro passando tra gli scaffali divisi per benino, TRENTINO PIEMONTE SICILIA... e poi è capitata la SARDEGNA e tra Vermentini e Cannonau e Turriga ecco che spunta una bottiglia ed è un'etichetta marroncina carta-da-pacchi con scritte rosse e chi è chi non è ed ha 15,5% e c'ha della roba scritta in sardo e dice (il titolare) che è un biodinamico pazzariello (ecco, forse ha usato un termine diverso) e costa 12 o 13 o 14 euro (fa sempre piacere essere precisi nei resoconti) e allora me lo accatto senza sapere che, in qualche modo, quel vino avrebbe cambiato diverse cose nella mia visione del vino.
La boccia era questa:




Perdacoddura 2005 è stata un'illuminazione. Un'illuminazione del grado più puro. Cioè, io quando l'ho bevuta non sapevo proprio un accidente di Nurri e di cosa producesse quella terra assieme ad un uomo barbuto. Ma quella bottiglia mi ha schiantato, ha reso di me un uomo schiavo di un sapore i cui vaghi rimandi erano delle meraviglie rodaniane ma diverso. Ha scatenato un vorace desiderio di saperne di più dell'azienda, dell'uomo. Uomo che, guarda caso, è stato oggetto del mio primo post in assoluto. Da allora io Gianfranco Manca da Nurri l'ho rincorso più che potevo, uno stalking enologico che quando non implicava il contatto fisico nelle varie fiere trovava sfogo nello scolare le sue bottiglie-feticcio. 
Qualche anno è passato da quel 2007. Nurri si è avvicinata di qualche grado a Ravenna, alla sua immagine mentale si è aggiunto qualche pezzo di realtà. E dal 2007 si sono susseguiti tutti i figliocci del Manca, i vari Alvas e Mariposa e Ogu e Però Tankadeddu e Però Vignevecchie.
E anche nel buon caro e vecchio 2011 ci si è avvicinati ad un certo punto al momento delle fiere. E anche in questo anno, mentre la mente mi si stava sbriciolando al pensiero di tutte le cose che avrei assaggiato e i produttori che avrei incontrato, una parte grossa della mente (appunto) era occupata da Panevino e le nuove annate a ViniVeri. E allora ci sentiamo per telefono e dalla Sardegna mi dicono che giovedì non ci sono e io ci vado (appunto) giovedì ma c'est la vie. E rimaniamo d'accordo di risentirci più avanti per saluti vari e per farmi mandare qualche bottiglia da sentire, io che a Nurri ci andrei anche a piedi se per un qualche cataclisma sparissero i corrieri e le Poste. Epperò domenica incontro Manca a Villa Favorita che girava felice (così mi pareva) tra i banchi in battuta libera e ci facciamo le feste e qualche complimento (da ragionevolmente sobri) e dico che ci sentiamo e lui dice Certo.
E così ci risentiamo, lui, la moglie, e dicono che mi mandano i vini che han piacere che li assaggio e io dico che più che assaggiarli io me li bevo a canna. E dopo una settimana mi arrivano i vini e non c'è mezzo euro da pagare ma solo da abbracciare (virtualmente) Manca e moglie e onorare questa fiducia.


I vini arrivati sono 6. Tutti rossi. Tutti a prevalenza Cannonau più altra roba locale (Monica, Cagnulari, Tintillu, etc.). Tutti 2009. Per spiegare cos'è stato il 2009 da loro, basta una parola: grandine. A maggio e in luglio. Alcuni vigneti colpiti duramente, altri meno. E la materia portata in cantina che rispecchia questa altalena. Se le botte vengono dal cielo, poi, non c'è che da rassegnarsi (per modo di dire), spremere ogni grammo di ciccia dai grappoli e scegliere cosa fare. Che, grossolanamente, si riduce in 3 cose: saltare l'annata; fare un unico vino blendizzando il blendizzabile; fare alla Panevino's way.
E allora si inizia a fare delle prove, mischiando le uve, ogni volta cambiando qualcosa in termini di vinificazione. E, come dice Manca, ecco che si ritrovano a consegnare i compiti senza averli finiti, nessuna bella copia ma solo trascrizioni in forma di bozza. Delle bozze, degli appunti con ancora delle parti mezze cancellate, ricorrette; delle copie stenografe intrise dei dubbi, delle sofferenze, dei momenti euforici. E' come se da Panevino si fosse aperta la cantina/cameretta, stappate le botti e su ognuna messo un bicchiere, e tutti dentro ad assaggiare assieme a Gianfranco. E' come visitarne la cantina, solo che è la cantina a venire da te.
L'etichetta/quaderno di Panevino 2009
Da tutto questo lavoro (così poco esercizio di stile e così tanto ricerca di un suono che dalla terra passa all'uva e poi al vino), da questo cantiere quasi aperto, è stata conseguenza naturale non nominarli questi vini. E l'etichetta è un foglio vuoto, un foglio a righe con su indicato solo la posizione delle botti in cantina.
Is de Fundu 'e Muru;
Is de Mesu;
Is de a 'nanti;
Kussas Intrendu a Manu 'eretta;
Kussas Intrendu a Manu 'e Manca;
un Senza Nome (cioè, qui non c'è scritto proprio niente).


Se ogni volta che si inizia una vinificazione, è come partire da un punto A (l'uva) senza conoscere il punto finale B (il vino in bottiglia), questa cosa nella produzione 2009 è ancora più marcata, atomizzata in 6 possibili variabili. Un non-sense commerciale e quindi vincente. Una serissima risata che seppelisce e rimette il commercio là dove deve stare: nella terra. Intendiamoci: qui non è che non si debba vendere il vino; solo che al primo posto viene il prodotto, che nella variegazione dell'annata ha portato a questa idea, alla commercializzazione di ogni botte. E trovando la spiegazione solo dentro la bottiglia, e mani nei capelli dei vari agenti e/o responsabili commerciali. Una dimostrazione della bontà del pensiero anarchico (cioè l'ordine senza potere). Questa gente alle lezioni di marketing leggeva poesie o guardava le foglie.
Eccole le bottiglie. Bevute anarchicamente,  provando anche a mischiarle a fine serata (cosa che mi è sembrata molto nello spirito della cosa). Ecco questi appunti, questi finito/non-finito, questi bozzetti da commentare con spirito filologico, questo duro lavoro fatti di assaggi e assaggi fino al fondo della bottiglia.






Is de Fundu 'e Muru: 13,5% e un primo impatto da Sangiovese. Ossia colore non denso, acidità avvertibile, odori di fermentazione. Primario, intenso, pungente. Poi l'aria (fattore importante nel range Panevino) porta a mutazione, ad una maggiore distensione al naso, lo spettro olfattivo si fa più complesso, si inseriscono speziature e dolcezze. Si viaggia su dimensioni medie, si viaggia senza fretta e senza una meta precisa. Ma il paesaggio cambia spesso, la compagnia è buona e la macchina va. Si viaggia, insomma.
Is de Mesu: 13% e la dolcezza regna. Il più immediatamente placido, il più morbido, ma anche il più statico. Già composto in equilibrio, l'acido/tannico fusi con l'alcool. Ma anche una mancanza di dinamicità in bocca per il salto di qualità. Senza quel surplus olfattivo che è il Marchio Registrato Panevino. Senza cedimenti e senza picchi, proprio una bottiglia de mesu (=di mezzo).
Is de a 'nanti: 13% e l'unione dei pregi delle due bottiglie precedenti. Profondità e compostezza, apertura solenne e poi un partire in progressione verso le speziature e la frutta, quel mix orientale di chiodo di garofano e cardamomo e pepe. Una casbah di odori da giramento di testa mentre la bocca ti mostra il velluto. Siamo sulla scia delle pietre miliari Perdacoddura e Ogu, anche se a regime ridotto. Manca solo quella fittezza, quella totale tridimensionalità. Ma il DNA non mente.


Quei quaderni/etichetta
sembrano nati per scriverci sopra.
Kussas Intrendu a Manu 'eretta: 13,5%, appena aperta, è quello che mostra la volatile più spiccata del lotto. Niente di trascendentale. Ancora un po' d'aria e il naso si pulisce, incede anche qui un odore primario, un'aria da cantina in fermentazione. Ed è anche uno dei più restii a concedersi. Solo dopo qualche ora il quadro muta, l'opulento melange del timbro Panevino si fa largo. In bocca, però, rimane un'idea di scissione, acidità non ben integrata, una sorta di bucatura nella trama. Una dimensione media che fatica a coprire talune acerbità. Ancora grezzo e spigoloso, in attesa della maturità.
Kussas Intrendu a Manu 'e Manca: 14% per il più duro, il più tannico, il più amaro. Una rigidità inusuale che ne anestetizza l'espressione olfattiva. Che lo normalizza, dove il vero potere dei vini di Manca è nella totale espressività, nel concedersi senza condizioni. La solarità empatica dei suoi vini, qui si vela, si incupisce. Con sensazioni vicine ad un vino-legno (vicine, non uguali). Materia tattile in abbondanza, tannino che ricopre il frutto, sorsata che frena. L'edizione più borghese di un vino di Manca.
Senza Nome: 15.5%. Okay, siamo su una dimensione diversa. Parallela. Prima della descrizione, pregasi azzerare i preconcetti. Partiamo. Marrone mattonato scarico, odore pungente di frutta sotto spirito, sapore intenso. Glen Grant? No, una variazione sul tema del rosso in ossidazione prepotentemente alcolico. Marsala, Madeira, Porto LBV. Però prodotto naturalmente dalle uve. Un vino che al primo approccio destabilizza, affascina in un modo tutto suo. Sembra esserci una sottile linea rossa di frutto rosso quasi appassito, avvolto nell'alcool. Sembrano esserci pizzichi di spezie mischiate. E, soprattutto, con l'aerazione il frutto non perde potenza come capita spesso coi pari tipologia; non si viene sopraffatti dalla potenza bruciante liquorosa che a volte fa evaporare il resto. Con l'aria il Senza Nome si distende. Perde tensione e gli elementi si legano e slanciano a vicenda. Addirittura si va quasi in equilibrio il giorno dopo, a bottiglia mezza scolma. Un vino per meditare, un vino da aspettare, un vino per affascinare. Un produttore per unire.


Se Proprio Volete, Una Pagella Valutazione Finale Dell'Infausto Anno Scolastico 2009: dopo le molteplici lauree honoris causa, dopo le valutazioni sfioranti i 100/100, dopo vini che parevano saggi completi ed esaustivi su Cosa può essere davvero il vino, qui si soffre un po' per lo scontro chicco d'uva/chicco di grandine. In certi casi casi si avverte una certa crudezza tattile, una dimensione nei vini penalizzata rispetto al solito. Epperò quasi ovunque il timbro c'è, un timbro di odore e sapore che è come succhiare la terra di Nurri con una cannuccia. Meno vertigini rispetto ai suoi masterpiece. Ma una serie di variazioni sul tema, appetitose intellettualmente e gustativamente.  Roba da bere tutto d'un fiato e poi, volendo, da analizzare. E in fondo è fine anno. Questa non è più la scuola dell'obbligo. Non per Manca, non a Nurri. Queste sono tesine sul tema "Le variazioni Manca: ovvero, ecco cosa può essere il vino della mia terra in ogni sua declinazione". E il lavoro del professore vignaiolo è essere sempre rimandati all'anno prossimo. Sperando che la grandine si sposti un po' più in là. Diciamo verso Villa Certosa.


PS: e non resisto a pubblicare integralmente l'immaginifico  racconto della vinificazione che Manca mi ha mandato, una specie di short-story dallo stile primordiale e potente di un Faulkner. Però più divertente.

Commenti

  1. Gato, è bellissimo (è un incubo riuscito). Complimenti anche a Panevino, questa sì che è un'idea geniale (altro che blendizzare; per inciso, Napolitano e Bartezzaghi ti stanno cercando per bastonarti, dopo un neobarbarismo like blendizzare; uno come te, poi, che ha fatto una 30 di corsi alla Holden di Baricco)
    Non ho solo capito una cosa: "quando le botte vengono dal cielo ecc..."
    Ma il plurale di botte non è botti? O botti è il plurale di botto? Ma il vino non si mette nelle botti? Però è vero che alcuni vini costano un botto... Insomma, è vero che non capisco molto di vini, ma mi sento perso. Forse un buon corso alla Holden potrebbe farmi bene.
    Aiò

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  2. Caro, i corsi alla Holden sono in due fasi: cancellare tutto quello che sai (grammatica, nozioni di storia, tabelline) come ripulita spirituale e come preparazione alla fase due; ricostruzione del tuo sapere verso qualcosa di superiore. Ora, la fase 2 devo ancora farla perché costava un botto e dovevo anche comprare un set di pentole. Perciò faccio sfoggio di ignoranza attraverso le "licenze poetiche" o "l'uso smodato di neologismi" (e non mi stupirei se nella prossima Settimana Enigmistica non saltasse fuori un 5 verticale "blendizzare").
    E in un turbinoso gioco con le parole degne di un Borges o un Totti, "botte" sta per "legnate, bastonate, cazzotti" nel senso che la grandine gli ha menato su quelle vigne. Almeno credo. Adesso chiamo Baricco.
    Anzi no. Devo ancora pagare la fase 1.

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  3. Che succede Eugenio, hai smesso di bere?
    Dai che mi mancano i tuoi post.
    Con stima.

    Gabriele

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  4. Caro Gabriele, è stata un'estate "strana" (quella parolina che vuol dire tutto e niente).
    Un'estate di spostamenti, di lavoro, di febbre a 40° (con 40° anche nell'aria). E anche di vini bevuti. A breve ricomincio a pubblicare a ritmi furibondi. Scrivere e bere sono passioni troppo forti.
    E, naturalmente, ti leggo sempre e ti ringrazio veramente tanto per la stima (contraccambiata).
    A presto.

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  5. Ciao Eugenio seguo il tuo blog quasi dall'inizio e da te è nata la scoperta dei vini di Gianfranco Manca. Mi unisco a Gabriele nell'invito a scrivere!
    http://www.vinix.com/degustazioni_detail.php?ID=2804

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  6. Caro Niccolò, dopo un'estate a dir poco "farraginosa", mi sto ributtando nella scrittura e nelle degustazioni (beh, quelle in effetti non sono mai cessate). Sono felice della tua scoperta dei vini di Manca e, leggendo le tue note, dell'entusiasmo tracimante (per me) nella devozione. Grazie mille per l'incoraggiamento e complimenti per i tuoi assaggi e susseguenti note: hai un nuovo "follower".

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  7. Che bello. Ti vorrei ringraziare per questa bellissima testimonianza in cui mi sono imbattutto cercando notizie sul "Kussas Intrendu a Manu 'e Manca", comperato ieri ed intanto appoggiato in cantina in attesa del momento giusto.

    Il Tankadeddu l'avevo amato, il VigneVecchie mi aveva preso e portato via, dimostrazione di quanto di straordinario potesse venire fuori da lì e con quella mano là. Una rivelazione, di cui oggi non posso fare più a meno.

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  8. Grazie, Jacopo. Ho notato (e avrai notato anche tu che scrivi tanto e bene) che certi racconti riescono meglio se i vini ti "posseggono" e "ti prendono e ti portano via". E i vini di Manca hanno avuto questo effetto dal primo bicchiere assaggiato in quel lontano (?) 2007 con una conseguente ricerca di informazioni e bottiglie, stupendomi allora di quanto poco se ne parlasse e tampinando letteralmente il povero Gianfranco ad ogni fiera. E producendo, dici bene, dipendenza.

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