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NON AVVELENARSI COL LAMBRUSCO

Poco tempo fa mi sono imbattuto (perché in rete ci si imbatte) in un blog di un giovane americano ex-sommelier in madrepatria che ora sta a Parigi (poveretto) e lavora nella moda, la quale moda in effetti non c'entra nulla col mondo del vino (è lui il primo ad ammetterlo), specie del vino naturale; epperò il young american si diverte a scrivere di wine-bar, ristoranti (se masticate l'inglese, leggetevi il divertente "La peggiore ospitalità del sistema solare" dove allo stereotipo del ristoratore cafone francese viene data nuova linfa), scorrazzate in giro con gli amici a visitare vignerons.
Ah si. Il blog si chiama Not Drinking Poison In Paris, ossia Non Bere Veleno a Parigi (nome dalla cui chiave di lettura decisamente ironica ho figliato il titolo di questo post).
Recentemente Aaron Ayscough (che è come si chiama il tipo) è andato in Piemonte e si è sparato un sacco di aziende e ristoranti e wine-bar. E in questo post racconta come lui e i suoi amici si fossero fermati a bere qualcosa a Serralunga e in questa vinoteca si fossero imbattuti in un importatore di vini inglese il quale prima ha fatto una faccia tutta storta tipo avesse ingoiato urina anziché Arneis alle parole vino naturale (sottintendendo una qualche forma di allergia al concetto, il motivo non è dato saperlo), e poi si è intrattenuto sulla batteria di vini che gli passano per le mani nel suo mestiere (una batteria leccorniosa) la cui destinazione, e qui sta il bello, non sono i professionisti del settore (ristorazione, enoteche, etc), bensì i privati. Al che il nostro Aaron gli chiede come mai e il nostro importatore gli risponde papale papale e senza batter ciglio che i privati pagano e subito, i professionisti pagano in mooolto ritardo o non pagano affatto (nota 1). 
E una serie di cortocircuiti mentali si sono innescati nella mia testa. Tipo quante volte ho sentito produttori affermare che farsi pagare del vino equivale ad un'estenuante battuta di caccia unita alla tenuta mentale di un santone indiano unita alla tecnica di tortura della Della Goccia (ossia, insistere moderatamente con ferma e costante convinzione). O quante volte ho sentito ristoratori e/o enotecari sull'orlo di una crisi di nervi nel loro essere vaso di coccio tra affitti, tasse, regole ASL, finanza (quella in divisa), test alcolici, clienti latitanti e/o educati come un tronista in libera uscita. O quante volte ho fissato distese di bottiglie  senza capo né coda, valanghe di vini acquistate in piena età d'oro la quale età d'oro, in realtà, stava decisamente tramutandosi in età di letame, cataste di Chianti e Super-Tuscan e Super-Sicilian e bianchi-bianchini-bianchetti oramai insmerciabili e tutti ammonticchiati sul groppone del/dei titolari passati dal frullatore di ogni rappresentante di zona e fuori (nota 2).
Tutto questo mi è venuto in mente mentre ero a cena in un posto che, da tanti punti di vista, è meritorio e la cui meritorietà deriva da svariati fattori come una buona cucina, una discreta politica dei prezzi, un titolare che cerca di dare un'impronta, di marcare le sue scelte attraverso una, nei limiti del possibile, ricerca sul campo, cosa avvertibile specialmente nella carta dei vini. Snella, con scelte di campo (spesso non le mie scelte, ma comunque scelte) e conoscenza di ciò che ha in casa. Cosa non banale. Il titolare, cioè, si porta a casa solo cose che ha assaggiato e che gli piacciono (okay, che all'80% gli piacciono e il 20% è commercio o cose-che-si-debbono-avere). Il titolare muove il vino, lo propone nel modo giusto, lo sbicchiera, organizza degustazioni, non applica ricarichi da beni super-lusso. E il titolare ha interesse (non maniacale) verso i vini naturali, ne ha diversi e, nel caso incontri un quasi mono-maniaco come me, li propone.
E qualche mese fa, dopo essermi sgargarozzato un discreto Jakot 2005 di Radikon e un così-così La Sagesse 2009 di Gramenon ed avendo ancora sete (diciamo così), il titolare ha detto che magari non c'entrava un cazzo ma gli era piaciuta tanto e secondo lui ci stava e, insomma, mi ha portato in tavola un




Fontana Dei Boschi 2010 di Vittorio Graziano.
Ora. I vini di Vittorio Graziano li avevo sentiti (okay, in fretta, una media di 1 minuto a vino) a Villa Favorita e (okay, c'era caos e gente che spingeva e almeno altri 30 assaggi prima di lui) e mi erano piaciuti dal poco al molto poco. Sgraziati, affilati come lame. Difficili, forse la peggior cosa da dire in faccia ad un vino. Poi leggiucchio in giro e 'sto Graziano piace a tanti, piace il personaggio (la definizione è molto generica, me ne rendo conto) e piacciono i vini. Specie questo Lambrusco Grasparossa rifermentato in bottiglia. E così lo bevo quella sera. Ne compro una e me lo bevo a casa. E lo ribevo qualche sera fa. Tanto per farmene un'idea più precisa. 
L'impostazione fondamentale è la stessa in tutte e tre le bottiglie. Scuro, scurissimo, appena violaceo al bordo. Volatile all'apertura che poi vola via. Odori animali, bestiali, foxy a go-go. Frutti scuri, ombrosi, affumicati. Da far svenire Luca Maroni. Bocca densa, lattiginosa. E bocca in divenire, nel senso che dalle incertezze acido/tanniche di qualche mese fa, si è passati ora ad un maggior equilibrio. Quel senso di possente animalità, di anarchia gustativa, trovano una maggior compensazione nella dolcezza e nelle note di terziarizzazione che paiono ricoprirne il midollo acido/tannico e togliere virulenza alla carbonica. Vino contadino nei difetti e nei pregi, variazione sul tema Lambrusco fascinosa e spiazzante. Un 82/100 delle prime bottiglie che ad oggi sale ad 85 nel mio Nasdaq personale e che varrà la pena riquotare ASAP (=As Soon As Possible, prima possibile).


Nota 1: Certo, bisogna stare in una città anglofona di circa 10 milioni di abitanti per fare il ganzo (o per tirarsela a mo' di ganzo) e fare il pusher di vino di qualità. Probabile che la cosa cambi a Bologna o Treviso o semplicemente in Italia.
Nota 2: A volte è semplice capire quando la corda (della borsa e non solo) s'è rotta. Ad esempio, c'è il ristorante con la carta grossa come una Treccani la cui annata più recente è un 2000 e la sfilza, sempre per esempio, dei Barolo è tutta piantata al 1995 e pare di sentire il ristoratore quel giorno nel lontano 1999 dire: "Adesso basta", e pregare che un giorno riuscirà a finire tutta quella roba e ricominciare da capo un'altra vita con un'altra testa. 

Commenti

  1. Ben tornato!!!!! Ma sei stato in vacanza o sei troppo preso con la nuova attività??? Ci si vede ad Enologica? Ciao Ivano

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  2. Posso solo dare il mio apprezzamento al post che, come al solito mi mette buonumore! E aggiungere la mia esperienza col Fontana dei boschi 2009 come in contrasto rispetto alla descrizione che fai del 2010, era pulitissimo, fresco e molto fine: http://www.vinix.com/degustazioni_detail.php?ID=2810.
    Tanto per complicare un po' la valutazione!
    Ciao, e cerca di allietarci più spesso con i tuoi post!
    Niccolò

    RispondiElimina
  3. Eugenio,
    colgo l'occasione per parlare al proposito: "vini che puzzano".
    Dunque, a prescindere che un produttore sia BIO o no, i vini che sanno di:
    stalla/letame/tombino/gabinetto/mio labrador quando è andato a infangarsi/la coperta dove poi va a dormire dopo essers infangato;
    hanno qualcosa che non va.
    Che poi in bocca siano un bellissimo bere ci può stare, ma i sentori sopra citati sono un difetto che portano ad una valutazione molto più bassa del vino (almeno da parte mia).
    Il fatto di essere BIO non significa non travasare, non pulire le vasche in acciaio o le barriques o le botti grandi di legno.
    Il vino se ha delle riduzioni, lo si travasa; se la barrique ha un "taso" attaccato spesso come un panino del Mc Donald va pulita con dei detergenti che lo sciolgano e che lo portino via, se il vino fermenta male perchè i lieviti che sono nell'uva sono scarsi allora bisogna cercare di "seccare" il vino con l'uso dei lieviti "comperi" (orrore!!!) perchè i residui di zucchero che rimangono sono deleteri per il vino che, in caso di rifermentazioni o di malolattiche che partono spontaneamente (in presenza proprio degli zuccheri residui stessi), sicuramente avrà un innalzamento dell'ac. volatile di conseguenza.
    E a me il vino acetoso, al di là dei limiti legali, non piace; se preponderante è un difetto, poche storie.
    Se il fatto di essere naturale comporta lo sdoganamento di puzze e difetti vari allora, non ci siamo perchè vuol dire che il vignaiolo o il cantiniere, non sa fare il suo mestiere.
    Un esempio? Paolo Francesconi. I suoi vini sono più che naturali, ma non hanno i difetti sopra descritti; essi sono puliti, precisi e questo è dovuto, IMHO, al fatto che lavora bene anche in cantina. La favola del "vino buono se l'uva è buona", è vera solo in parte, perchè si potrà avere la miglior uva al mondo ma si fa mooolto presto a rovinarla.
    Un altro esempio? Un altro produttore che conosciamo bene qualche anno fa aveva un'uva splendida. Il mosto però fermentò male (lieviti poco presenti? Scarso azoto assimilabile nel mosto? Altri problemi?), fatto sta che il vino ottenuto (bianco) aveva zuccheri residui e in primavera col riprendere delle varie fermentazioni andò tutto a putt.....
    Ok, mi si dirà: "è il bello della variabilità e della non sicurezza ad essere naturali"; RISPONDO: "Vale la pena però buttare via un anno di lavoro, di fatica e di sudore spesi in vigna e in cantina?"; per la gloria di chi?
    Poi non sono certo qui a dire che van bene i vini bianchi tipo il Trebbiano che sa di banana o il Sangiovese che sa di fragolino...come in tutte le cose ci vuole il giusto equilibrio...vini corretti, fatti bene ed equilibrati; cioè nè Hi Tech ma nemmeno che sanno di cacca....tra l'altro tutti quegli odori appiattiscono i vini, nel senso che i varietali si distinguono ben poco e capita che tra un cabernet e un sangiovese alla fine non ci sia differenza...e questo, sempre IMHO, non va bene...

    Ho scitto un bel tomo eh?
    Però potrebbe essere la base di partenza per una discussione...

    Ciao e ci si vede a Enologica!!!

    Gabriele

    RispondiElimina
  4. @Ivano: oramai nel mio vocabolario la parola "vacanza" corrisponde a quei 10 minuti nella toilette con le parole crociate. Tanto, troppo lavoro. A Enologica se tutto va bene ci vado 3 giorni. Se va male 2.
    @Niccolò: Grazie mille. Ho scoperto da poco le tue degustazioni e le leggo sempre e le trovo assolutamente centrate e interessanti, mai banali (tra uomini/degustatori non esiste la piaggeria). E' un periodo di grande lavoro ma giuro che scriverò anche di notte legato alla sedia come Alfieri: ho un hard disk (e forse il fegato) pieno di vini bevuti da recensire.
    @Gabriele: si, la puzza nel vino è veramente una bella base di discussione e stavo pensando di scriverne anche alla luce di assaggi recenti. Intanto goditi la gloria per la tua vittoria con schienamento sugli avversari a Giovin Bacco, per me Monte Brullo number 1! E prepara i guantoni per Enologica.

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  5. Ma quale schienamento!!!!
    Il miglior sangiovese riserva del 2008 è quello di Villa Papiano!!! (????)

    Boh.....

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  6. Non voglio neanche lontanamente tentare di capire i bizantinismi dietro quel riconoscimento che vanta nel palmarès vini il cui commento moderato può essere, in effetti, un "Boh". Io e le papille gustative di tanti altri ti assegniamo il Campovinato d'Oro, alla carriera e nello specifico della tua riserva 2008.
    E, come già detto, tra uomini/degustatori/produttori non esiste piaggeria.

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  7. Oh, mica che il vino di Villa Papiano non sia buono eh!
    Però, senza nulla togliere, di 2008 ne ho sentiti di meglio....a me di quel vino lì piaceva molto di più il 2007 ma a Ravenna non l'avevano....

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  8. Direi che Gabriele ha individuato gli estremi, in mezzo infinite declianzioni, per fortuna... Ci si vede a Enologica con il Fondo San Giuseppe, ciao!

    Mirco

    RispondiElimina
  9. Mirco...
    come ho detto....
    nè vini Hi Tech (trebbiano che profuma di banana) nè vini che puzzano di cacca....
    ci vuole un equilibrio...se uno vuol fare il duro e puro e non usa i lieviti, mi sta bene, ma se essi stessi "vanno in stress" (si dice così?) bisogna alimentarli perchè altrimenti ti creano degli odori che vanno dal poco piacevole all'insopportabile...
    non solo, mi è capitato di assaggiare vini che avevano un acetoso percettibile altissimo...
    poi gli andavi a fare la volatile e i valori erano ampiamente sotto i limiti legali...addiritura sotto l'uno.
    Che significa questo? Il lievito ha fermentato male e la vecchia storia che non trattando oppure trattando solo con certi prodotti non si uccide la flora fungina responsabile della fermentazione, è vera solo in piccolissima parte....perchè le uve molto spesso non fermentano perchè l'APA è insufficiente e quello non dipende certo dai trattamenti...
    Io stesso quando ho usato i lieviti indigeni, quelle puzze (grazie al cielo) non le ho mai sentite nei miei vini....
    a volte mi dico che bisogna impegnarsi sul serio per arivarci....

    Ciao e ci si vede a Enologica!

    RispondiElimina
  10. Concordo al 100% Gabriele, da qui si potrebbero aprire altri dibattiti... ad ogni modo il tema "nutrienti" è sempre di fondamentale importanza, soprattutto in vendemmie come queste in cui fattori di stress per i lieviti ce ne sono stati molti, e sto notando una percentuale davvero alta di fermentazioni incompiute...

    RispondiElimina
  11. @Eugenio: Grazie dei complimenti, davvero graditi e non frequenti!
    @Gabriele: io bevo vini cosiddetti naturali da abbastanza tanto tempo e i casi di puzze sono davvero stati pochissimi. E fra quelli molti erano riduzioni o feccino o come diavolo si chiama, che normalmente sfumavano ossigenando il vino.
    Ci sono numerossimi esempi di vini vinificati usando i lieviti spontanei, con moderatissimo uso di solforosa, non filtrati, non chiarificati di pulizia gustativa/olfattiva encomiabile e soprattutto ripetuti in annate diverse dai loro produttori ed è su questo dato che va fatta la discussione. Ci sono altrettanto numerosi vini la cui fermentazione avviene "assistita" e che sono precisi e buoni. Ma per esempio i bianchi li ho trovati spesso molto omologati e che si appiattiscono sopo 1 o 2 giorni dall'apertura. Per i rossi ho comunque l'impressione di un'omologazione.
    Ma forse questa omologazione deriva dal fatto, probabilmente verificabile statisticamente, che usare lieviti selezionati è un marker, come direbbero gli statistici, di una filosofia produttiva in cui si cerca un prodotto più ripetibile, meno soggetto a imperfezioni, più rispondente al modello di pulizia, trasparenza, nessun residuo, e stabilità. E quindi spesso l'uso dei lieviti preparati è accompagnato da rigida programmazione delle temperature, dei tempi di fermentazione, da chiarifiche e filtrazioni. Mentre non usare i lieviti preparati è un marker statistico di ottime capacità del produttore in cantina e di una filosofia in cui il vino si fa appoggiandosi all'esperienza di chi ha preceduto, conoscendo bene le proprie piante, interpretando le situazioni di volta in volta etc etc. Questo da un punto di vista statistico.
    Poi ci sarà pure il produttore che usa il lievito preparato, ma per il resto è "spontaneista" e chi magari non lo usa, ma poi controlla la temperatura rigidamente, chiarifica a bestia e filtra sterile!
    Alla fine poi va a gusti. Io ricerco vini caratteristici, originali, memorabili, sostanziosi, cangianti, cioè che reagiscano al contatto con l'aria e non rimangano inerti e che cambino anche nel tempo (e quindi perchè no anche un po' instabili) e dunque vivi. Insomma io bevo per nutrire la mia curiosità.
    Per esperienza personale ho visto che se per dire decido di bere solo vini non filtrati, sto già selezionando vini che mi piacciono mediamente di più. Ripeto: esperienza personale.
    Lo stesso potrei dire della regola lieviti spontanei. Ciao. Poi sono laico e quindi giudico di volta in volta, potendo alla cieca!

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  12. Eccomi qua ... volevo e non volevo scrivere questo commento poi , mi sono detto sono tra amici mi posso permettere di scrivere quello che mi passa dal cervello -unica parte anotomica piccola del mio corpo :)- senza che nessuno se la prenda.
    Da Vittorio -Graziano- ho lavorato due vendemmie e ho imparato tantissime cose ,quasi tutto devo dire.
    Sono Molto contento che ti sia piaciuto e che ne parli bene.
    I suoi vini sono molto variabili nel tempo, o li ami o li odi ..in certi momenti sono puliti in altri momenti sono ridotti.A me piacciono e quando sono puliti sono la più bella espressione , sempre SECONDO ME ovvio, del territorio di Castelvetro.
    Il graspa è un' uva maledetta sotto il profilo olfattivo perchè come il Malbo va incontro a riduzioni pesanti.Oltre al discorso dei lieviti che il Grande Succi ha ben espresso,io metterei in luce un'altro aspetto secondo me molto importante quando si parla di rifermentazione da vino,come avviene per i vini di vittorio.La pulizia del vino . Filtrazione,chiamatela come caspita volete.Perchè in un vino con estratti così alti se non si lascia il tempo al vino di pulirsi, o magari lo pulisci con una blanda filtrazione-che secondo me non è poi così da criticare- poi in rifermentazione si sviluppano aromi veramente poco graditi..e zero varietale!Perchè la stalla o il letame non è sinonimo di nessuna uva.
    Per correttezza io uso lieviti selezionati e se sento qualcosa che non và agisco di conseguenza non aspetto la luna ,il licantropo e il corno/ e non le infilo da nessuna parte.ciao gP
    P.S. Non diciamolo a nessuno ma sembra che i lieviti indigeni siano poco presenti sull'uva ,ma siano sopratutto in cantina..shh parla piano che ci sentono è una soffiata del imperatore Kobler -post da leggere e da regalare per natale ai naturalisti .
    Io ne ho fatto una gigantografia e l'ho appesa tra il poster della Canalis e un vecchio calendario di Le Ore Mese,periodico di cui ero abbonato fin dall'85

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  13. Eccolo il Gian Paolo!Questo post è stato fatto quasi solo per avere un tuo commento su Graziano... E domenica forse (e dico forse) ci vado a Levizzano dove non mi ricordo se ci sei o no. Ah, quella cosa dei lieviti in cantina me la disse anche Casolanetti incasinando ancora più il concetto, nel senso che (dice lui) se uno ha usato lieviti selezionati per anni, poi il passaggio a quelli indigeni non è così matematico essendo l'ambiente/cantina "infestato" dai primi. Giusto per semplificare ulteriormente le cose.

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  14. @anonimo: in effetti da quando ho approfondito la conoscenza dei vini rifermentati in bottiglia mi son fatto l'idea che se bisogna parlar di lieviti, voi che fate questo tipo di vini siate interlocutori ideali. Perchè ai lieviti per forza dovete dar del tu, altrimenti, come traspare dal tuo commento, è facile che ti si ritorcano contro. Amo ad esempio anche i vini di Massimiliano Croci, che credo abbia esperienza con lieviti spontanei, con selezioni di lieviti della zona e con lieviti selezionati generici.

    RispondiElimina
  15. @ Niccolò
    io ho sempre lavorato con fermentazioni spontanee; tuttavia da quando le stagioni mi portano ad avere uve che passano i 15° alcol svolgibile, essi non bastano più. Sorry.
    Ho già mandato troppe vasche nel casino e lavorato troppo per fare il piede di rifermentazione (i termini francofoni li lascio a quei furboni d'oltralpe) senza ottenere niente.
    Per cui quando il grado svolgibile è molto alto, non me la sento di rischiare ed evitare di mandare a ramengo il lavoro di un anno. Certo bisogna stare attenti a non esagerare con le alte temperature, perchè poi i lieviti "comperi" ne soffrono, e a tal proposito uso solo tini di fermetazione di piccole o piccolissime capacità perchè contenendo poco mosto, la T° non va su e io di tecnologia disponibile, no ne ho, quindi per ovviare il problema agisco in questo modo. Poi è chiaro che se uno usa sempre gli stessi lieviti ha un prodotto ripetibile, anche se non è sempre vero, perchè un grado di T° più alto o più basso durante la fermentazione ti stravolge il prodotto (quindi è ripetibile se controlli sempre la T° stessa).
    Aggiungo anche che io uso sempre lieviti neutri (quando lo faccio) perchè si limitano a trasformare lo zucchero in alcol, e lasciano integre le caratteristiche peculiari dell'uva.
    Non sopporto i lieviti che danno sentori che con quell'uva non hanno niente a che vedere (es. fragola nel Sangiovese).

    @ Eugenio

    Casolanetti, sosterrà questo; ma io sono convinto che se uno sterilizza i tini come fa il sottoscritto con dei prodotti specifici, di lieviti ne rimangono pochi.....garantito.
    Anche perchè se fosse così, io che in tempi passati ho sempre usato i lieviti indigeni, e i tini sono sempre quelli, avrei selezionato quella popolazione, e non quella dei lieviti aggiunti.
    A proposito, mica che i lieviti comperi facciano miracoli eh! quest'anno una vasca ha ancora 6 g/l di zuccheri ancora da svolgere, purtroppo...

    RispondiElimina
  16. @gabriele: massimo rispetto per come lavori e lo racconti. Nel mio interminabile intervento stavo anche per scrivere che apprezzo l'atteggiamento laico dei produttori che mi dicono "io cerco di lasciare che la fermentazione parta e si svolga spontaneamente, ma poi in funzione della situazione che mi trovo davanti, pragmaticamente considero l'utilizzo dei lieviti comperi" o come mi disse uno dei produttori di barbera che amo di più in assoluto "se la fermentazione non parte, o compro una bustina o vado dal vicino a chiedergli un po' di mosto fermentato...". Nel tuo caso mi sembra di capire la situazione è molto complicata, probabilmente per tanti motivi che vanno dal geologico al climatico all'ambientale... però visto che mi sembri tipo meticoloso e avvezzo alle microvinificazioni, magari prova a fare un migliaio di bottiglie completamente "nature", e se anche avranno 17 gradi , stai a vedere che un me o un Bucci che lo apprezzano lo trovi!!!
    Approfitto per chiederti: a che temperature sta la tua cantina?

    RispondiElimina
  17. Niccolò,
    che intendi per cantina?
    A - Il luogo dove fermento?
    B - Dove tengo le barriques e i tonneaux?
    C - Dove tengo le bottiglie e le vasche d'acciaio inox nelle quali va il vino una volta finito la fermentazione?

    Partiamo con le risposte:
    A - La temperatura è quella esterna nel senso che vinifico all'aria aperta, vale a dire sotto una tettoia chiusa su tre lati....
    B - D'inverno 10 gradi, d'estate 24;
    C - D'inverno 14/15 gradi, d'estate 24.
    Non uso il condizionatore primo perchè consuma corrente e al giorno d'oggi le bollette suonano...e poi io sono un fautore del fatto che un po' di caldo (giunto gradualmente, cioè non oggi 12 gradi, domani 23) al vino giova, eccome....

    Il vino "completely natural" ce l'ho già: è l'Ancellotta 2009 che porterò in anteprima a Enologica sottobanco...pochissima solforosa e lieviti dell'uva....è un vino un po' selvaggio...ma lo definirei una specie di Kurni romagnolo...con un po' meno di residuo zuccherino, ma gl estratti sono molto simili...l'alcol però è pari al 15%, non 17....per fortuna...Eugenio l'ha già sentito...

    RispondiElimina
  18. E si, l'ancellotta è 'na bomba. Naturale o meno. Così come i tuoi sangiovesi e cabernet sono bombe. E super-naturale è il produttore. Garantito. Anzi, venite a Enologica e toccate con mano (il vino).

    RispondiElimina
  19. Bravi, belli i commenti... per quanto riguarda la rifermentazione posso dire che ho provato per un paio d'anni l'ancestrale ma non sono stato soddisfatto, davvero troppa variabilità. Sono d'accordo con GP, per la rifemrentazione occorre partire con una base davvero pulita. Per questo dall'ancestrale sono passato all'estremo opposto, inoculo sia in prima che in seconda fermentazione, l'aspetto varietale secondo me emerge con il tempo nel corso dell'affinamento sui lieviti. Da questo punto di partenza mi piacerebbe pian pian tornare "indietro" per vedere fin dove posso spingermi, quest'anno, per esempio, rifermenterò con il mosto ghiacciato in vendemmia, vedremo cosa salterà fuori... Per quanto riguarda le fermentazioni spontanee posso dire che finora con Fondo San Giuseppe mi è sempre andata bene, ma sono da accudire come un infante... anche in questo caso posso dire che la varietà viene fuori, eccome... Se poi alla fine non si chiarifica, stabilizza e microfiltra chiaro che ogni fattore "destabilizzante" ha un'influenza, per esempio i vini da vasca assaggiati in luna calante sono completamente diversi, non chiedetemi il perchè, però questo è ciò che ho constatato. Rimane sempre il fatto che continuando a ragionare in questi termini credo si potrà superare la definizione grossolana di vini "naturali", sostituendola con l'aggettivo "integrali", nel senso che meno si tocca più si hanno risultati rispondenti al terroir, bisogna però acquisire una certa manualità in cantina. Detto questo non ho niente da criticare a chi ha un approccio ben più tecnologico e legato alla tecnica di vinificazione in riduzione, parlo sempre di bianchi, che per sua concezione è "sottrattiva". Visto che è stato nominato, credo che il buon Armin Kobler sia davvero bravo a gestire il giusto apporto di tecnologia e il suo pinot grigio 2007 tappo a vite stappato qualche sera fa, dopo due giorni dalla stappatura era ancora parecchio buono...
    Ciao

    Mirco

    RispondiElimina
  20. @gabriele: ho riscontrato in tantissimi produttori che lavorano in modo artigianale che gli ambienti, in particolare per affinamento/invecchiamento, sono freddi.
    Penso a vari francesi piccoli che hanno quasi sempre la barricaia in ambienti ipogei o a volte in vere grotte, a un Bressan che è meticolosamente attento a mantenere il freddo, anche durante a fase di fermentazione, a un Dettori che ha rifatto qualche anno fa la cantina sotto al culmine di un monte e tutti gli ambienti anche in piena estate non superano i 18 gradi o al mio vecchio della barbera che sono stato a trovarlo il 22 agosto che c'erano 37 gradi e in cantina ne aveva 15 al massimo..
    Quindi mi incuriosisce la tua valutazione positiva del caldo e delle temperature variabili colle stagioni.
    @Mirco: integrali è un termine che ho usato anch'io in certe recensioni. In effetti do' molta importanza a questo aspetto, ma so che in alcuni tipi di vino, tipo i rifermentati ma pure i riesling non filtrare può essere impossibile senza esiti catastrofici.
    A parte questi casi quando vedo un vino con la camicia o che rivela un po' di fondo sono già più ben disposto. In alcuni casi mi hanno spiegato che è questione di tempo, ma in altri non se ne esce!
    Ringrazio voi tutti produttori per la bella discussione. In questi anni ne ho lette tante su questi argomenti, ma finivano spesso su posizioni ideologiche.

    RispondiElimina
  21. @ Niccolò
    A proposito di T°...
    Una persona (Fabio Giavedoni?) fece una prova per vedere l'effetto dell'ambiente e della temperatura sul vino nel medio e lungo periodo.

    Per farla breve tenne diverse bottiglie dello stesso vino in diversi posti per un anno...

    La migliore all'assaggio?
    Quella che era rimasta nel bagagliaio dell'auto...

    Alla faccia di cantine costruite nei monti o iper super condizionate, deumidificate echipiùnehapiùne metta...

    Ciao.

    RispondiElimina

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Ciao, mi chiamo Franco e sono siciliano. Siciliano dell'Etna. La Montagna, come la chiamiamo noi. Per anni ho lavorato nel mio paese importando birra. Io amo la birra. La birra mi emoziona. Cioè, certe birre. Così ho iniziato a girare. Volevo capire come si facesse, chi erano gli uomini che la facevano. Volevo vedere dove nasceva. Poi mi sono deciso. Ho trovato un posto meraviglioso, del luppolo stupendo e mi sono trasferito. In Belgio. Sembra assurdo, vero? Un italiano che va a fare la birra in Belgio, in casa dei migliori produttori. Però avevo le mie idee. Volevo lavorare naturale e pulito. Volevo cercare di far esprimere a quel territorio il meglio possibile. Senza compromessi. Ho fatto prove, ho commesso errori, qualcuno beveva le mie birre e mi guardava storto. Ma poi. Ma poi tutto piano piano ha cominciato ad andare meglio. Le birre piacevano sempre più. La gente ha cominciato a volermi bene. E sono diventato più belga dei belgi. E' non è un lieto fine? Questa è una sto

LE GRANDI DOMANDE DELL'UOMO MODERNO

Ahò, stasera dove mangiamo? La domanda, nel mio caso, è spesso una domanda retorica, una sottodomanda con implicita una domanda ben più grossa: Stasera dove possiamo andare a mangiare in un posto che abbia una bella carta dei vini (aka discreta profondità, forte ricerca nel territorio e personalità nelle scelte che denota un ristoratore appassionato e che si sbatte per cercare le cose, magari perché a lui (cioè il ristoratore) magari piace il vino; e prezzi corretti [nota 1] ), la giusta dose di informalità che non sfoci nella sciatteria, un oste che ti metta completamente a tuo agio e che, magari, non ti serva il vino in quel crimine-verso-l'umanità che sono i bicchieri da Barolo (quei bicchieri tondi tondi che tendono a ridurre l'area olfattiva ad un micron)? La risposta a questa domanda spesso è automatica e pronunciata all'unisono: Noè a Faenza (non ha sito web e forse neanche il fax, perciò l'indirizzo è Corso Mazzini 54, e il tel. è 0546-660733). Il titolare è