Passa ai contenuti principali

WIKILEAKS: LA GRENACHE VUOTA IL SACCO

File nr. 832763456.
Oggetto: GRENACHE: Dalla Francia alle Marche passando dalla Sardegna.
Inizio decriptazione.


Mentre le prime rivelazioni della creatura di Assange assumono la detonante forza di una barzelletta (ci sono una tedesca precisa ma con poca fantasia, un russo dipendente dalla vodka e dal gas, un italiano mignottaro e cazzaro, un francese arrogante e mangia-rane e da qualche parte un fantasma formaggino), i reclusi nerds al servizio di Wikileaks hanno scovato gli atti di una riunione carbonara tenutasi in località misteriosa (Enologica a Faenza). Atti la cui divulgazione rivela inquietanti verità al mondo. E cioè che la Grenache è buona, è tanta ed è, quasi, dappertutto.
Il manipolo di facinorosi seduti attorno ad un tavolo e circondato da bottiglie, si era messo in testa poi di dare una seppur parziale idea di cosa fosse la Grenache e di intraprendere, diciamo, un viaggio nell'identità sfaccettata di questo vitigno. Dal Rodano alle Marche, per precisione. 
Sicuramente sfaccettata assumendo tale vitigno nomi e identità da Mata Hari vinicola, pronta e insinuarsi nel vostro campo come Cannonau o Tocai Rosso o Alicante o Vernaccia o Gamay (nota 1) o uva-del-nonno-piantata-sotto-casa. E altrettanto sfaccettata data la sua enciclopedica declamazione di stili diversi, come capita per ogni grande (in senso qualitativo e quantitativo) uva. 
Ritrovarsi a ragionare sul termine identità è dura quando si tratta della seconda uva più diffusa nel mondo (nel totale di tutti i suoi biotipi). E crea confusione. E c'è bisogno di istituire una qualche base di ragionamento oggettivo prima che le sue (della Grenache) mille lavorazioni ed espressioni territoriali vadano ad inserire variabili meno classificabili. Si sa che è un vitigno che resiste bene al caldo e pare dia il meglio coltivata ad alberello. La sua adattabilità ai terreni aridi fa si che riesca a mantenere polifenoli e, contemporaneamente, acidità, quindi in grado di esprimere frutto e maturità senza sensazioni di cotto. Questo in natura, in chimica. Il resto sta alla mano di chi la coltiva e trasforma (nota 2). 


Pusher della giornata era tal Dario Cappelloni, giornalista del Gambero, preciso e puntuale e disponibile pur nelle frequenti cadute iper-discrettiviste dei vini (nota 3), assistito da Mr. Kurni Marco Casolanetti che la Grenache la sta iniziando a lavorare da non molto tempo ma che la beve da una vita. 
Il viaggio attorno a quest'uva è stato, per forza di cose, una specie di tour su bus turistico: tutti intruppati, qualche cenno storico, qualche premessa, via con le 7 bottiglie e tutti a casa. 7 bocce che sono un'isola nell'oceano dei vini grenacheschi, ma un'idea la potevano dare. Anche nelle assenze, come sempre rumorose come e più delle presenze (nota 4).
Ma noi divertiamoci con i presenti.
Per cominciare:
Nobile De La Rocca 1986 (Midea Vini): tanto per semplificare le cose, ecco un altro nome della Grenache. Bordò. Questo l'ha portato Casolanetti. Una dimostrazione nei fatti della parola curiosità. Lo produceva un vicino di Oasi Degli Angeli. All'epoca un prodotto molto interessante, parole di Marco. Adesso (in quella bottiglia) è in fase decomponitiva. Una terziarizzazione in realtà molto più avvertibile al naso, che la bocca una certa freschezza l'ha mantenuta. Discreta tannicità relativa all'età, una buona acidità. E poi l'aria ha cominciato a scardinare tutto e a fare irruzione nella casa portando via tutto.


Chateauneuf-du-Pape Lucile Avril 2007 (Domaine Durieu): il primo francese della giornata. Grenache circa 85%, poi Mouvedre e Syrah. Premessa: i 3 francesi della giornata erano tutti Chateauneuf-du-Pape dall'impostazione molto simile (si, certo, sfumature di tannicità, legno più o meno controllato, etc.), 3 produttori nuovelle vague a cui Parker spara punteggioni da paura e dai prezzi ancora umani (si va dai 30 ai 50 euro). In mancanza del campione in pectore della categoria, Chateau Rayas (campione anche di prezzo), questo Avril rientra nei canoni della denominazione. Forte alcolicità, molto legno e conseguenti sentori di frutta sotto spirito, mallo di noce, tostatura. Una discreta bocca che riprende questi elementi bloccando la placidità di beva. Per certi versi ricorda un Amarone nelle scompostezze e in quel cuneo alcolico non abbastanza supportato dalla materia. 84/100.


 Kupra 2008 (Oasi Degli Angeli): forse il big della giornata. La vera grande curiosità. Seconda edizione del Bordò di Casolanetti dopo la 2006 (ne parlai qui). Siamo sempre sulle 900 bottiglie e c'è più che mai la volontà di confrontarsi con i più grandi del mondo (e il prezzo è la conseguenza delle due cose). Laddove Casolanetti ha quasi il pilota automatico inserito per il Montepulciano, con la Grenache ci sono ancora cose da capire. parole sue. Doppia barrique anche qui ed è da capire se la scelta è giusta o se andrà rivista. Il vino ha un colore non scurissimo, lieve mattonatura ai bordi ma ottima intensità. Al naso saltano subito fuori note di legno dolce, non prevaricanti o sgarbate. C'è una sorta di controllo negli odori, una compostezza lontana dall'esplosività di Kurni che riporta alle agrumate speziature rodaniane, ad una frutta evoluta ma non cotta. E la bocca sembra aggregare questi elementi e a porgerli in rotondità, senza eccessi e in surplace. Un tatto così morbido con alcool avvertibile ma non eccedente cui manca forse la grinta materica per fare quello scatto in più. 90/100.


Chateauneuf-du-Pape Les Cailloux 2007 (Brunel): Grenache al 65%, anche qui giovani e rampanti e super-punteggiati. Rispetto a quello di Domaine Durieu, la dimensione pare più esile e la trama aromatica più composta. In sottofondo una nota di mallo di noce che ammanta il frutto, che ne lega l'espressività e lascia sempre una certa perplessità sull'uso dei legni. Discreta bocca, pungente e con un'acidità viva, non del tutto legata al resto. I francesi ci hanno abituato a ben altra classe. 83/100.


Ermes 2009 (San Giovenale Agricola): sarà che era il più giovane? Sarà che c'è lo zampino di Casolanetti? Sarà che era diverso da tutto il resto? Sarà quel che sarà, è stato il blockbuster di giornata. Prova di botte di un giovane produttore laziale. Grenache al 100% enologizzata dal Casolanetti. E campione extra-varietale di assoluta bontà. Nel senso che i parametri proiettati a quei livelli fanno saltare in aria il tappo di qualsiasi luogo comune sull'uva. Portano una certa uva verso una nuova sfera assoluta, fanno gridare "Si può fare!", mandando in tilt qualsiasi discussione sulla tipicità. Colore scurissimo, violaceo, iper-pigmentato. Quasi da Montepulciano. Così come il naso, dove tanto legno certo (campione di botte è), però non in grado di coprire la massa di frutta matura, le sensazioni bucciose. E bocca di assoluto impatto, densa e finemente tannica, dolce-non-dolce e lunghissima. Primario e diretto nell'espressione, semplice ma non semplicistico. Abbiamo un nuovo sceriffo in città? 92/100.


  Chateauneuf-du-Pape 2006 (Domaine de Marcoux): 2006 come annata meno calda e potente in Rodano. Così si dice. Forse per questo, forse per l'anno di più in bottiglia, forse per stile: ma dei tre francesi è quello più composto, più integrato nelle varie componenti. E il meno consistente. Colore anche qui non densissimo. Legno ce n'è (ormai s'è capito) e il frutto vira a tratti nella terziarizzazione. Bocca in un equilibrio da 6,5 e senza grandi asperità (si, qualcosa di alcolico pungente c'è anche qui) ma senza grossi pregi. Allo stato degli ultimi assaggi, una denominazione che fatica a smarcarsi dai propri canoni. Un vino meridionalista che non ha capito bene cos'è il meridione. 84/100.


Rosso 2007 (Dettori): il nostro controverso sardo di fiducia. Un Cannonau arcaico, ipse dixit. Il top della sua gamma. Niente legno, solo cemento. Gradi 17,5. Per servirvi. Vino duro, difficile, impervio (nessun luogo comune sui sardi, please). Riflessi accesissimi, niente di troppo scuro. Naso etilico, sparato ai limiti del bruciante sul frutto amarena. E bocca che pare lasciare una scia alcolica che anestetizza le altre sensazioni. Un vino che picchia duro, che forse va aspettato e/o educato. Un punker che vorrebbe fregarsene delle convenzioni e delle mode ma che forse dovrà tornare ad ascoltare del folk per fare la sua incisione migliore. Dopo l'elettricità, aspettiamo l'unplugged. 81/100.


Cannonau Mamuthone 2008 (Sedilesu): non il top della gamma di Sedilesu. Che è uno dei nomi in grande crescita in questi anni e coltiva in Barbagia. Sardegna che più Sardegna non si può. E tocca ripetersi: la nota fuori registro è l'alcool. Che non sarebbe mai un problema (e, anzi, è spesso una benedizione che indica raccolta di uva matura) se supportata da tutte le altre componenti. Ma qui è sbilanciata e sbilancia, porta il confronto col vino in zone poco piacevoli. Dove la consistenza non all'altezza va ad inficiarne l'equilibrio, dove l'integrità di frutto si perde dalle parti dell'ossidazione. C'è qualcosa che può affascinare, c'è una frustata potente che arriva e sa di speziatura salmastra e di potenza primigenia: c'è, ma io ero lì solo per bere. 82/100. 


E così la le Grenache possono essere una, nessuna o centomila. Come ogni grande uva, diventa Zelig e si adatta a terre e uomini, a natura e tecnica. Quelle che abbiamo provato noi sono solo alcune caselle di un archivio quasi infinito di espressioni. Un altro piccolo passo verso la Conoscenza (che, a questi ritmi) acquisirò solo in una delle mie prossime incarnazioni. Namaste.

Nota 1: c'è da dire che le ricerche sul nominamento delle uve sono sempre studi interessanti e portano a risultati tra l'affascinante e il lapalissiano, e così si scopre che Vernaccia e Tocai significano la stessa cosa e cioè "uva del posto" (Tocai in albanese e Vernaccia dal latino Vernaculus).
Nota 2: e così ci si ritrova ancora a sbattere il grugno in quel concetto gassoso che è il terroir. In quale Grenache troviamo l'essenza di un terroir? Fa più terroir un vino-fruttino o un vino-legno (domanda retorica)? Su 100 Cannonau, quale è il più fedele al terroir? Come facciamo a saperlo? Tocca guardare in faccia i produttori e guardare loro le mani per vedere quanto ci hanno lavorato dietro? E, ancora, è una cosa così importante?  
Nota 3: sembra a volte un'irresistibile pulsione quella di partire con  un "...e percepite il mallo di noce che esalta le note agrumate candite e bla bla..." che si, può essere pure divertente ma in occasioni pubbliche o ammutolisce il pubblico preso nel capire dove cazzo stia l'agrume candito, o scatena una sequela di interventi su cosa si percepisce o no e pare una gara al virtuosismo mnemonico e spinta fino all'ultima papilla. Il che è una gran perdita di tempo ed energie e distoglie da ragionamenti più pressanti del tipo "E' buono o no?". Il mio modesto consiglio è stare su categorie generali (legno frutto, acidità, tannini, dolcezza) e tentare una collocazione sensoriale del vino e poi scatenare un dibattito aperto nostalgicamente ispirato agli anni '70 (o, e sarebbe un sogno, ad un cineforum fantozziano). 
Nota 4: tanto per dirne un paio, il number one delle assenze era una qualsiasi cosa di Domaine Gramenon e le sue cuvée turbo-frutto e setosissime; poi, della serie "La potenza senza controllo è niente; la potenza con controllo è sarda", Panevino e le sue riserve orientaleggianti (spezia+esotico) e placide come osservare il tramonto su un nuraghes. E, almeno come categoria generale, qualcosa dalla Spagna

Commenti

  1. Ciao Eugenio, ti faccio i complimenti per il bel diario di viaggio.
    Il Dettori 2007 ha bisogno ti tempo. E' solo un 2007 ed è in bottiglia dal giugno di questo anno. Mi spiace che non ti sia piaciuto neanche il vino di Sedilesu. I suoi, sono vini moderni ma autentici ed al Top in Sardegna.
    Il mio caro amico Gianfranco Manca era assente poichè non produce vini a prevalenza Cannonau. Non sarebbe male organizzare in Sardegna un bel Tour del Cannonau!
    A presto.
    Alessandro Dettori

    RispondiElimina
  2. Ciao Alessandro e grazie per i complimenti. Dettori 2007 era lì, in quel momento e in quella bottiglia, un vino iperuranico, un'espressione di una grande idea di vino a cui mancava qualcosa per arrivare ad una soddisfazione più materica. Dietro questa grande idea di vino ci sei tu (non è piaggeria, in questi casi converrebbe il "silenzio-dissenso"). Seguo le tue idee da diverso tempo, sia sul campo (ricordo un primo incontro di forse 10 anni fa vicino a Cesena ad una manifestazione di un rappresentante e da allora ho sempre cercato di bere tutto quello che facevi uscire) sia in quell'universo confuso che è internet. Ricordo alcune grandi bottiglie di Dettori Rosso, un Chimbanta 2004 strepitoso (lì davvero la vertigine sensoriale annebbiava quasi la testa). Ricordo anche bottiglie difficili, scomposte, forse da aspettare o forse no, ma che intanto facevano discutere. Anche per questo mi è dispiaciuto molto averti mancato alla serata a Faenza da Andrea Spada. E per questo l'dea del tour in Sardegna sarebbe stupenda: perché mai come nel contatto diretto, nel dialogo con chi stimi per il suo lavoro, nell'immersione nella sua realtà lavorativa, questa passione diventa un'esperienza così totale ed appagante. E' così e questa convinzione diventa più forte ad ogni incontro coi veri vignaioli.
    Per cui spero assolutamente di fare irruzione nella tua cantina presto (e non vorrei sembrasse una minaccia).
    Eugenio
    PS: per Manca hai ragione ma visto lo spirito anche guascone della cosa e visti i francesi tutti in uvaggio, mi sarebbe piaciuto mettere un peso massimo ancora troppo poco conosciuto e sentire cosa ne pensavano 30 persone. Sedilesu, invece, l'ho bevuto in qualche manifestazione vinoverista (che sono spesso un ingoia-e-corri non sempre l'ideale per sviluppare un qualche giudizio critico serio) e li avevo trovati, perdonerai la generalizzazione, "tecnici" e rigidi. Altri assaggi più mirati e calmi mi hanno fatto un po' riaggiustare il tiro, ma ancora non mi hanno fatto scattare la scintilla. Ma spero in un incontro anche con la loro cantina e terra.

    RispondiElimina
  3. "Il mio modesto consiglio è stare su categorie generali (legno frutto, acidità, tannini, dolcezza) e tentare una collocazione sensoriale del vino e poi scatenare un dibattito aperto nostalgicamente ispirato agli anni '70"
    Quoto a manetta.

    RispondiElimina
  4. al giovane produttore laziale: io so cosa c'e sotto tutto questo..!!! naturalmente competenza (Casolanetti)... ma aldila' ... infinita ricerca della perfezione .. dura ricerca...!!! e tanto olio di gomito, il tutto unito al grande amore per la terra, la famiglia e i valori essenziali per un sicuro successo.... bravo..!!!!

    RispondiElimina
  5. Auguri di buone feste e bevute!Ciao Mugellesi Ivano

    RispondiElimina
  6. Auguroni. E che il 2011 mi/ci salvi dalla cirrosi epatica e dai cattivi vini.

    RispondiElimina
  7. Ma si puo' sapere qualcosa di piu' su questo produttore laziale? Io sono anni che ritengo il territorio della Tuscia adatto al grenache! Mi sono commosso...

    RispondiElimina
  8. Guarda, prima della degustazione avevo parlato un po' con Casolanetti e mi aveva preannunciato l'inserimento di una sorpresa, "Un laziale che è 'na bomba". Ed effettivamente bomba è stata, deflagrante quasi come un Kurni nelle edizioni migliori. Il produttore era presente, non ha parlato e non ricordo il nome. L'azienda, come avrai letto, si chiama San Giovenale Agricola ed ha sede a Blera. Per la commercializzazione penso si parli di fine 2011 (ma Casolanetti diceva "Vediamo, vediamo") ed anche il prezzo è un'incognita. Stai certo che mi/ti terrò informato. Per me è iniziata una nuova caccia...

    RispondiElimina
  9. Molto interessante, solo che mi auguro che costi meno di 250 euro a bottiglia...ogni riferimento a Casolanetti non e' casuale! Ad ogni modo, su internet non ho trovato nessuna azienda San Giovenale sita a Belra. Chissa'...

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE LONTANO (ovvero, quando non hai un buon titolo, rubalo)

Buongiorno. Perché siamo qui? Qual è il senso di tutto questo? Chi siamo noi?  Le grandi domande dell'umanità applicate alla carboneria bloggettara . Domande a cui, vien da sé, non è possibile rispondere ma solo macerarsi in pseudo-risposte che generano altre domande e così via, una cavalcata selvaggia nei terreni paludosi dei dubbi e dei se e dei ma. Vabbè.  Per favorire una più agevole lettura di questo post, avendo della discreta carne sul fuoco e non volendo procurare un'indigestione al lettore, sono stati inseriti dei chiari segni grafici (grassetto rosso) corrispondenti ai diversi settori tematici, cosicché ognuno può saltare bellamente da uno all'altro e/o andare direttamente al settore riguardante la degustazione di un vino (settore che, lo dico subito, è in fondo al post). Eccola riassunta qui: 1- Riflessioni sparse su internet e la critica enologica; 2- Una piccola rubrica che verrà aggiornata periodicamente; 3- Scheda degustativa di un vino. Cominci

L'IMMIGRATO

Ciao, mi chiamo Franco e sono siciliano. Siciliano dell'Etna. La Montagna, come la chiamiamo noi. Per anni ho lavorato nel mio paese importando birra. Io amo la birra. La birra mi emoziona. Cioè, certe birre. Così ho iniziato a girare. Volevo capire come si facesse, chi erano gli uomini che la facevano. Volevo vedere dove nasceva. Poi mi sono deciso. Ho trovato un posto meraviglioso, del luppolo stupendo e mi sono trasferito. In Belgio. Sembra assurdo, vero? Un italiano che va a fare la birra in Belgio, in casa dei migliori produttori. Però avevo le mie idee. Volevo lavorare naturale e pulito. Volevo cercare di far esprimere a quel territorio il meglio possibile. Senza compromessi. Ho fatto prove, ho commesso errori, qualcuno beveva le mie birre e mi guardava storto. Ma poi. Ma poi tutto piano piano ha cominciato ad andare meglio. Le birre piacevano sempre più. La gente ha cominciato a volermi bene. E sono diventato più belga dei belgi. E' non è un lieto fine? Questa è una sto

LE GRANDI DOMANDE DELL'UOMO MODERNO

Ahò, stasera dove mangiamo? La domanda, nel mio caso, è spesso una domanda retorica, una sottodomanda con implicita una domanda ben più grossa: Stasera dove possiamo andare a mangiare in un posto che abbia una bella carta dei vini (aka discreta profondità, forte ricerca nel territorio e personalità nelle scelte che denota un ristoratore appassionato e che si sbatte per cercare le cose, magari perché a lui (cioè il ristoratore) magari piace il vino; e prezzi corretti [nota 1] ), la giusta dose di informalità che non sfoci nella sciatteria, un oste che ti metta completamente a tuo agio e che, magari, non ti serva il vino in quel crimine-verso-l'umanità che sono i bicchieri da Barolo (quei bicchieri tondi tondi che tendono a ridurre l'area olfattiva ad un micron)? La risposta a questa domanda spesso è automatica e pronunciata all'unisono: Noè a Faenza (non ha sito web e forse neanche il fax, perciò l'indirizzo è Corso Mazzini 54, e il tel. è 0546-660733). Il titolare è