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SFIDA TRA TREBBIANI: CRONACA E MOVIOLA (SOTTOTITOLO: LA NOIA)


"Cos'è il Trebbiano?"
Se fossi il discepolo di una qualche antichissima disciplina orientale e accanto avessi il mio sensei e se anche solo mi passasse per la testa l'insensata idea di porgli tale domanda, questo (il sensei) mi guarderebbe come se avesse di fronte una bestia immonda e/o un bambino deficiente, mi bacchetterebbe le dita con un ramo di giunco e mormorerebbe: "Domanda sbagliata".
E' chiaro che la sapienza la si raggiunge anche facendo le domande sbagliate e venendo corretti (a bastonate o meno). 
E allora, ancora feriti nell'orgoglio e nelle nocche, ci fermiamo un attimo a riflettere, ci mordicchiamo le labbra come i bambini che siamo, e tentiamo una riformulazione della domanda attraverso una serie di domande sparse atte a capirci lo straccio di qualche cosa: Quanti sono i Trebbiani? Cosa si può arrivare ad ottenere da un dato clone di Trebbiano in un dato posto (ovvero, the sky is the limit)? Cosa vuole fare chi tratta con l'uva Trebbiano? E, anche se questa domanda è figlia diretta di quella precedente, cosa ci si aspetta bevendo un Trebbiano (una lunghetta ma forse interessante nota 1)
Le risposte possono essere diverse:
-Boh.
-Dipende.
-Il meglio.
-Sopravvivere.
Nel nostro piccolo, in quel microcosmo chiamato Romagna-Imola-Anonimafornelli, si è tentato di dare una chiave di lettura per diradare la coltre dai nebbiosi dubbi e arrivare così ad intravedere la luce di una qualche risposta.
Che non è arrivata, è bene chiarirlo subito.
Perché forse aldilà delle nostre (mie) capacità. O perché la struttura della serata era più un "buttiamo 'sti trebbiani nell'arena e lasciamo che si scannino da soli". O perché l'eterogeneità delle bottiglie  e perché l'imprinting umano è parso schizofrenico. 
Allora, cos'è venuto fuori? 
Primariamente che è la manona dell'uomo a decidere, nel bene e nel male. In 8 bottiglie  un bel campionario di stili, di idee, di approcci riguardo questo vigneto (che, per dovere di cronaca, una profetico-disfattista Jancin Robinson definì "zavorra anonima" qualche anno fa).
E questa manona riesce, in certi casi, a far uscire il Trebbiano da sé, a farlo scattare verso qualcos'altro oltre l'immaginario (l'aspettativa) che si ha, tendenzialmente un immaginario di vini sottili, aspri e poco profumati. In mezzo ai 100 parametri che portano a formare un vino (dico a casaccio biotipo, terreni, annata, forme d'allevamento etc etc), è sempre l'uomo che interviene e compie delle scelte. Più o meno coerenti.
E a sentir parlare gli uomini dietro a queste scelte, qualcosa di più chiaro viene fuori, l'immaginario si riveste finalmente di fatti concreti, di atti compiuti da uomini per cercare di arrivare ad un dato prodotto. Uomini che spesso un progetto ce l'hanno e questo progetto, spesso, si ritrova nel bicchiere.
Sentir parlare Andrea Bragagni, dei suo terreni esposti a nord-est, della sua filosofia non-interventista, di un certo fatalismo sui suoi prodotti ("Io cerco di essere bravo e attento ma poi il vino segue un percorso tutto suo"). Oppure Pietro Bandini di Quinzan e delle origini della sua fattoria didattica e della scelta biologica che ne è diretta conseguenza. Oppure Stefano Bariani di Fondo San Giuseppe che parte dalla sua esperienza di degustatore e dal concetto di noia che può derivare da tale esperienza (nel caso ci fosse bisogno di una nota 2) e spiega come solo nella verità dell'uva e del territorio ci si può riscattare. 
Oppure sentire parlare i bicchieri. Qualcosa da dire l'avevano, eccome.


Come i 3 vini più semplici della serata: il Trebbiano di Romagna 2009 di Leone Conti,  il Mattinale 2009 di Ferrucci, il Floresco 2009 di La Berta. 3 zone diverse eppure 3 espressioni simili. 3 Trebbiani base dall'espressività quasi muta, onestamente tecnici e fedeli al pensiero dominante sul vitigno degli ultimi decenni: dimensione minima, scheletro acido, aromaticità appena accennata. Vini che puntano forse ad un mercato che chiede pochi svolazzi e prezzo contenuto. Basta non chiedergli altro.


A salire il Fragelso 2009 di Casetta Dei Frati. Azienda di Modigliana che punta molto sul Trebbiano, tanto da farne quasi il vino di punta (e un plus per il tappo a vite). C'è l'enologo (Francesco Bordini, molto attivo nel territorio), ma la sua mano in questo vino è abbastanza contenuta. E' un Trebbiano pulito, anche tecnico nella definizione aromatica, ma non privo di personalità. Paradigmatico negli odori (la mela verde con una lieve ossidazione, qualcosa di floreale) e con una bocca nervosa ma sostenuta da una discreta consistenza. Vino capace di una certa mutazione nella serata, di far intravedere un lavoro serio sulle uve. Però sempre troppo controllato. Ecco, un vino perfettino che avrebbe bisogno di sporcarsi le mani per avere quella marcia in più.


Poi il Bianco Di Castelraniero 2009 di Quinzan. Azienda sulle prime colline di Faenza passata al biologico dal 2001. "La personalità della tradizione": se volete un titolo, eccolo. Quindi, il Trebbiano trattato con molti elementi dal passato. Ricerca della massima maturità. Breve macerazione sulle bucce. Veloce passaggio in botte. Ed è un vino con del fascino. Colore di pigmentazione tendente allo scuro. Naso che da una sensazione verde (mallo di noce) poi cambia e muta, si inspessisce e vira verso il floreale e una dolcezza ossidativa non decadente. Leggera carbonica iniziale e poi assestamento verso una discreta bocca, anche leggermente tannica, con acidità e alcool che raggiungono un buon equilibrio. Sorpresa della serata.


E il Téra 2009 di Fondo San Giuseppe. A conferma dell'ottimo lavoro fatto da Bariani con Albana e Riesling, ecco una piccola chicca dal loro fratellino minore. Trattato come gli altri: zero chimica, zero solfiti. L'uva al centro di tutto, nel bene e nel male: questo il motto aziendale. E vino preciso senza essere ingessato, all'interno del varietale ma andando anche oltre. Bocca di acidità buona, quella che non viaggia da sola e ti crepa il palato ma è inserita e contestualizzata nel vino. Un vino che è un silent killer, che non si esalta in esibizioni muscolari ma lavora di fino, ti costringe a berne ancora attraverso l'eleganza fino a farti inconsapevolmente finire la boccia. Tutto il resto è gioia. 


Gheppio 2008 di Andrea Bragagni. Cos'altro aggiungere a quanto scritto qui? Niente. Qualcuno storce il naso per la volatile, qualcun'altro per gli aromi strani (quell'incenso, quell'oliva in salamoia, quella pepatura), perché è troppo. E a qualcun'altro scoppia una passione irrefrenabile e ne diviene dipendente. Si, forse Marilyn aveva lo strabismo di Venere e le ginocchia storte: ma io le volevo bene lo stesso. Per me numero 1 e poche storie.


Ed infine la bottiglia X, la fuori regione che doveva darci un confronto e tarare il gusto. Ovvero, Trebbiano Marina Cvetic 2007 di Masciarelli Che è entrato sbattendo la porta, ha fatto caciara tutta la sera e se è andato sgommando nel parcheggio. Insomma, c'entrava poco. Perché è un vino legno (tanto legno) che assomiglia ad altri 100 vini legno fatti con una qualsiasi uva. Perché era pieno di ciccia e glicerina, di aromi vanigliati e di zero fragranza. Perché ci ha fatti tornare indietro di 10 anni all'invasione-degli-chardonnay-barriquati-e-dei-lieviti-selezionati. Perché mica faceva schifo ma adesso posso non riberlo per un bel po'. Perché tutto questo è noia.


Nota 1: parrebbe quasi ridondante ribadire come le aspettative determinino quasi sempre le conclusioni critiche o, perlomeno, vadano ad incidere grandemente nel giudizio. Se, ad esempio, bevo un vino X che è un vino di una data tipologia e zona (ovviamente) oppure di un produttore di cui ho assaggiato quasi tutto, mi aspetto che questo vino X rimanga in tale range gustativo. Ma più mi aspetto certe cose, più è probabile che io stia andando col pilota automatico. Ed è probabile che gli schemi e le impostazioni automatiche della mia testa vadano ricalibrate. Ed è, ancora, probabile che incominci a fare confusione tra tradizione e territorio e innovazione e tecnologia (ossia, l'intervento dell'uomo), tra il modo in cui è stata trattata un'uva e il dove può arrivare tale uva. Ora. Mettiamo che il vino X sia un Sangiovese di Romagna. Romagna che ha una tradizione, certo, ma non così soverchiante come in altre zone. Eppure qualcuno si aspetta ancora che il Sangiovese sia chiaro e aspro e sottile e beverino (che è la somma dei tre fattori, credo). E allora tende a negare l'esistenza di vini scuri e concentrati, tende a resettarne mentalmente il gusto e a rigettarne la validità. Basta. Troppa roba. Troppo scuro. Troppo sapore. De gustibus e tutti a casa. L'aspettativa diventa una guerra di religione. Così, come nelle grandi storie d'amore, forse è meglio non aspettarsi niente. E' meglio usare il proprio vissuto come una rampa di lancio, non come un'ancora legata ad un piede. Parrebbe ridondante farlo notare ma io lo faccio.
Nota 2quando nella vita di un assaggiatore (o degustatore o semplice-uomo-della-strada-appassionato-di-vini) si è bevuto tanto e di tutto e di più, la frequenza principale nell'aria è la noia. Non c'è bisogno di spiegare il concetto. Accade in qualsiasi campo. Musica. Arti figurative. Anche calcio. Col salire della competenza o anche solo dell'esperienza, l'asticella dell'emozione si alza. Ci si annoia di vini tutti uguali. L'assaggio di un sapore provato 100, 1000 volte non può che portare ad una forma di deja-vu, non ne rinnova proustianamente il ricordo, non ricostruisce il presente attraverso il passato ma lo sfalda, lo opacizza. Una goccia nel mare del "già sentito". E' qualcosa che ha a che fare con l'omogeneizzazione del gusto ma non solo. E' qualcosa che richiede una partecipazione attiva dell'assaggiatore, un suo interrogarsi su cosa va a scavare nel proprio inconscio, su cosa arriva a penetrarlo (l'inconscio) innervando i sensi. Che per Bariani è il riconoscimento di un territorio e dell'uva, un'unione naturale, un surplus nell'assaggio che trascende categorie come buono/cattivo (cioè, le trascende inglobandole, fornendo tale risposta nelle premesse) per riportarlo ad uno stato primigenio dove scompare la noia. E a ognuno la sua risposta.

Commenti

  1. Due belle note da riflettere,personalmente ho trovato più interessante il Gheppio del Tera,mi affascinava quel suo cambiare continuo nei profumi e la sua bocca piena.Il Tera più sottile e verticale più da "riflessioni".Il bianco di Quinzan io non l'ho capito(mea culpa).I due macerati fuori romagna di Carretti,a me non sono piaciuti,il metodo classico aveva buoni profumi il Vejo neanche quelli,mio gusto personale ovvio!Sono vini che io al momento non comprerei mai,cerco bevibilita e piacevolezza sarò antico? Ciao Mugellesi Ivano.p.s ci si vede ad Agazzano sabato? Intanto ci provo

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  2. Eugenio, scusa la mia franchezza.....
    un commento a tutto ciò?
    Mah......

    Ciao.
    Gabriele

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  3. @Ivano: intanto sabato di sicuro Agazzano. Poi sul Gheppio ribadisco il mio entusiasmo per un vino che supera i generi. Tera a me piace molto, ottimo nei profumi e l'andamento in bocca mi ricorda molto certi bianchi dello Jura bevuti recentemente con Christian Bucci, bella acidità perfettamente integrata nella struttura. Quinzan non l'avevo mai bevuto e ne ho gradito le "rusticità" che non diventavano mai spiacevoli, lo dinamicizzavano e variegavano. Quelli di Carretti a me piacciono molto: aveva portato un'anteprima di Vej 2007 con macerazione molto lunga, non ancora in bottiglia e quindi non definitivo, e il Vej Spumante, esperimento di orange wine con le bolle. Vorrà dire che ti convertirò facendoti assaggiare i 2005 e 2006.
    @Gabriele: che dire... per tante cose appoggio la mozione "Mah..."

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  4. @Eugenio e Gabriele ... Boh ..dopo il mah..
    taci che l'anno prossimo macero anch'io :) :) a cacchio una prova la faccio poi però ce lo beviamo tutti insieme!Scherzo mi dispiace solo non essere potuto venire, volevo veramente esserci per capire se mi piacciono o no questi vini..anche se ,lo sai , partivo con il freno a mano tirato da casa!!ciao GP

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  5. Inanzitutto doverosi i complimenti per un'ottima cronaca della serata, per il resto mi sento in linea con le tue valutazioni, l'unico appunto che posso dire è sul vino di Leone che ho trovato fuori dagli schemi classici e decisamente più aromatico forse troppo per un trebbiano. Concordo anche sul podio formato da Quinzan, Fondo San Giuseppe e sul gradino più alto piazzo Bragagni, tre vini figli di scelte estreme ma anche figli di un gusto, come tu ben racconti, alla ricerca di qualcosa che tocchi corde emotive differenti senza traviarne la bevibilità e la piacevolezza, facendo quindi le dovute conclusioni e citando il Califfo nazionale...tutto il resto è noia...
    P.S. Speriamo che qualche nuovo produttore si possa affacciare al Trebbiano con curiosità e sincerità per produrre vini figli di queste terre, vini vivi che sappiano respirare l'aria di Romagna.

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  6. @GP: bravo bravo, macera che poi caliamo come i barbari a berti tutto. Riguardo la tua assenza alla serata, ti mando i compiti a casa: bevi tutti i trebbiani che trovi in giro e poi ti interrogo. E mi sa che la prossima volta dovrò fare una degustazione sui Malbo. Però tra il tuo, quello di Babini e quello di Manetti temo un come etilico collettivo da beva irrefrenabile.
    @Alessandro: i primi 3 vini descritti li ho messi in un calderone mediocre (diciamo anche per il tipo di prodotti, degli onesti base "industrial") anche se quello di Conti era come dici tu. E il tuo Private Reserve? Passato quasi a fine serata mi è parso un work-in-progress mooolto interessante. Adesso tocca imbottigliarlo, mettergli un'etichetta degna e venderlo a cifre immorali. Viva i garage wine!

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  7. Eugenio tu temi il coma etilico io la figuraccia ,però se la vorrai fare agh sun , ci sono!!ciao GP
    P.S. appena posso recupero il Tarbianaz dell' ex capo e poi passo.

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  8. Ragàz,
    ma con tutte le uve bianche esistenti al mondo proprio il Trebbiano?? :roll:

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  9. E la prossima sarà sul Fragolino e poi sull'Uva Fogarina, grandi e sottovalutate... Abbi pazienza, magari tra un po' rinsaviamo :)
    ps: e stasera mi tracanno un tuo cabernet in onore della neve.

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  10. Bell'idea i malbo.Io ci sono.Ciao Ivano

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  11. Dici che un Prima Luce 2007 va bene su una tagliatella verde con ragù di ricciola??? Ciao Ivano

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  12. Beh, per me va bene anche inzuppandogli una brioche. Comunque, come si dice dalle nostre parti, mi sembrano 'a morte sua.

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  13. Bravissimi, ottima idea e organizzazione.
    Il fascino del Trebbiano romagnolo? La sua interpretazione; si parte da una materia prima neutra, acidula, cercare di vincere la noia è davvero difficile, la sfida si gioca davvero tanto in cantina, far prevalere il vitigno siginifica giocarsela sul filo del rasoio, da una parte la banalità (ne abbiamo assaggiate), dall'altra la perdita completa di ogni aroma. L'escamotoge è l'invenzione, più che giustificabile; da lì in poi sono solo scelte prettamente umane. Ci vediamo sabato ad Agazzano: ci sarà il Tèra 2010, l'ho appena spillato dalla botte, promette bene.
    Ancora grazie, a presto!

    Mirco

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  14. Una domanda x Mirco:se il trebbiano è cosi neutro,la girandola infinita degli aromi del Gheppio di Bragagni da dove arrivano? Ciao Ivano

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  15. @Mirco: sono felice che ti sia divertito. E l'assaggio al volo del tuo Trebbiano mi ha fatto un'ottima impressione. E sabato ci butteremo sul Tèra 2010: preparate le cannucce...
    @Ivano: una cosa te la posso dire io: certi odori pare derivino anche dall'affinamento in botti di castagno che hanno una "timbrica" tutta loro.

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  16. @Eugenio: ottima idea i Malbo sono pronto.
    @Eugenio: sarebbe interessante una recensione sui vini bevuti ieri sera alla Voglia Matta.
    Paolo B.

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  17. La Voglia Matta di Fusignano?
    Hanno ancora qualcosa di valido in carta?

    Grazie
    Slarol

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  18. Intervengo perché ho letto cose davvero difficili da sostenere.
    Quando nella vita di un assaggiatore di vini si è bevuto tanto e di tutto e di più, la frequenza principale nell'aria non è affatto la noia. E' la noia se si bevono vini piccoli e modesti, ma se se ne bevono di grandi la frequenza è quella del salto sulla sedia. I grandi vini non sono tutti uguali, sono solo grandi e unici. Ma territoriali. Unici nonostante siano territoriali. La differenza è nei sussurri, non nel "mai sentito".
    Qui invece si sostiene di dover fare qualcosa di mai sentito eppure di territoriale. Ecco, delle due una, o il territorio segna i vini richiamando il "noto", oppure il territorio non esiste.

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  19. @Paolo: E Malbo sarà, alla faccia di chi gli vuole male! Stavo pensando di scrivere qualcosa su quella gragnuola di neozelandesi, californiani, australiani, spagnoli...
    @Slarol: la Voglia Matta è viva è lotta con noi. Stanno rinnovando tanto il "parco" vini e in più hanno una serie di chicche in cantina a prezzi assolutamente decenti.
    @Anonimo: grazie dell'intervento estremamente stimolante. E peggio per te perché non sarò breve.
    Quella della noia è stata una piccola "provocazione" di Bariani che mi ha fatto riflettere. E che riguarda le sarabande di assaggi che capita spesso di fare. Dove si beve di tutto perché il vino è una passione che può diventare totalizzante. E si bevono cose buone o discrete o anonime (cattive è dura, ci vuole impegno al giorno d'oggi per fare proprio male un vino). Più difficile trovare qualcosa che emozioni. E l'emozione è in parte derivata dall'esperienza: 10 anni fa forse il Marina Cvetic di cui sopra mi avrebbe emozionato, altro periodo storico e altra esperienza mia. Oggi un vino schiacciato dal legno, dalla glicerinosità imponente, è un vino non "cattivo" ma noioso. Così come invece il Gheppio mi emoziona nella sua "unicità" (che però lascia molti perplessi, disturbati da volatile e aromaticità fuori aspettative), nel suo distinguersi da tutti gli altri trebbiano e, soprattutto, nel suo essere a valori altissimi in ogni parametro di giudizio. Insomma, è essenzialmente buonissimo e poi è unico (non in senso lato, non credo esista profumo che non rimandi ad altro in natura). Ed essendo unico, è territoriale? Cos'è il territorio? Cos'è il terroir? Uva sana e non manipolata locata in posti storicamente e/o geologicamente votati, il tutto mischiato dalla sensibilità del produttore? Oppure è un laccio con la tradizione attaccata, tradizione che spesso e volentieri (almeno da noi) era uno svilimento delle uve? Sono domande non banali che si pongono anche tanti produttori.
    Ecco, il territorio esiste e segna i vini. Ma forse in modi diversi da quelli che ci si aspetta. E, ripeto, è la sensibilità dell'uomo a incanalare tutto. Dell'uomo che lavora quella terra e dell'uomo che assaggerà quel vino. Per quel che mi riguarda, si è solo all'inizio di un percorso.
    E se hai modo, assaggia il Gheppio 2008 e fammi sapere se ti fa "saltare dalla sedia" come ha fatto con me.

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  20. Sono l’anonimo di prima,
    Il gheppio 2008 senz’altro non l’ho bevuto, un qualche gheppio più antico sì. Era anche buono, ma un po’ fisso e immobile sulla pasta d’olive e una sorta di pomodoro cotto. O almeno così me lo ricordo.
    E sono molto d’accordo quando si dice che bene o male qui la tradizione ha sempre svilito le uve, e dunque che forse allontanarsene, passando per botti di castagno, incenso e vini color rame, non sarà poi tutto questo danno filologico. Ma allora, chiedo, la realtà non è che il terroir non c’è, qui? Se la tradizione non dà un volto al territorio, poiché l’uomo ha pensato a tutt’altro che la qualità per decenni, se la storia quindi non ha lo ha ancora mondato di tutti i tentativi mal riusciti e se, come giustamente dici, siamo all’inizio di un percorso in cui ciò che vale è unico e diverso, allora mi vien da dire, il territorio qui non ancora non c’è.
    E in effetti, dovessi dire che so cosa mi aspetto aprendo una bottiglia di Trebbiano di Romagna, mentirei. Né si potrà sostenere che dalla vostra degustazione traspaia un filo conduttore comune fra i vini.
    E quindi provoco: se non c’è ancora, il territorio, c’è un motivo? L’uomo è stupido? Ha fatto del vino da cooperativa sociale per anni, avendo per le mani un tesoro di cui non si è accorto? Si può far buon vino ovunque?
    Spero di sì, che l’uomo sia stupido. Non ne son certo.
    Agilulfo

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  21. La voglia Matta aveva una cantina fantastica, ma con il cambio di gestione mi era giunta voce che avessero smerciato tutto. Mi fa piacere che non sia avvenuto. Per essere più chiari, di quali chicche parli?

    Slarol

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  22. @Agilulfo: prima qualche chiarimento sul Gheppio (venuto fuori parlando con Bragagni): il castagno si usava da noi epperciò si potrebbe far rientrare nella categoria "tradizione"; poi il Gheppio non l'ha macerato nonostante il colore faccia pensare a ciò, è solo "virato" ad un certo punto quando era ancora in acciaio e Bragagni stesso non sa perché (e forse gli interessa relativamente).
    Il terroir (se inteso nell'accezione da vocabolario/wikipedia)da noi c'è. Brisighella, ad esempio, è un posto eccezionale, ha terreni e vigneti perlomeno pari ai top del paese (Toscana, il grande riferimento storico, in primis). Le ragioni di una tradizione così fiacca sono, per me e per quel che ho letto e sento, storico-sociali. L'analisi sarebbe lunga e richiederebbe una degna e ponderata disamina. Ma, per dire, Barolo e Brunello e Chianti, ciò che rappresentano ora, sono anche figli di una data situazione storica, di un'opera di preservazione e di "innobilimento" operato dall'aristocrazia e dall'alta borghesia, oltre che dalla loro qualità intrinseca. Sui vari cru di Barolo sono stati fatti studi che spesso confermano ciò che si pensava da anni; però ciò non significa che un Poggio Tura (ad es.) non debba definirsi un grande cru romagnolo, solo perché è stato "riscoperto" e valorizzato da poco. Insomma, le vigne giuste ci sono, i terreni giusti pure, e adesso stanno venendo fuori anche gli uomini giusti.
    Sulla serata trebbianesca, c'hai proprio ragione. Filo conduttore quasi nullo, eccetto il vitigno. Questo è stato il frutto dell'impostazione forse debole della serata. Solo romagnoli. E si sono mischiati prodotti che non andavano mischiati. E una scrematura più forte andava fatta, magari mettendo più cose fuori regione, centrando meglio l'obbiettivo della degustazione. Ma essendo partita come un gioco tra me e Alessandro, la metterò nella categoria "errori di gioventù". E dalla prossima sul Malbo, rock'n'roll! (o almeno un buon liscio).
    @Slarol: il gestore alla fine è rimasto sempre lo stesso, il buon Alfredo. E molte cose furono smerciate ma non tutto. Ho fatto giusto ieri una capatina in cantina: Baroli di annate dal '90, super-tuscans di qualche annetto, bianchi storici. Vai a dare un'occhiata se ne hai voglia: il posto è sempre bello, si mangia bene e l'atmosfera è molto rilassata. E magari si stappa qualcosa insieme.

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  23. Eugenio, mi auguro che tu abbia ragione, di sicura adesso come adesso di grandi risultati io non ne vedo in romagna. Anche se ritengo il Poggio Tura 2005 uno dei migliori sangiovesi prodotti negli ultimi 15 anni.

    Ci sto a stappare qualcosa insieme, magari non malbo. Sono sicuro che si unirebbe anche Agilulfo.

    Slarol

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  24. Per Eugenio:
    Non so cosa dica wikipedia, ma la definizione di terroir adottata dall’OIV è più o meno questa : «Il “terroir” vitivinicolo è un concetto che si riferisce a uno spazio nel quale si sviluppa una cultura collettiva delle interazioni tra un ambiente fisico e biologico identificabile, e le pratiche vitivinicole che vi sono applicate, che conferiscono caratteristiche distintive ai prodotti originari di questo spazio».
    Rispetto a questa il terroir per il trebbiano qui non sembra ancora esistere. Poiché mancano sia la cultura collettiva, sia le caratteristiche distintive. E dico trebbiano, ma in realtà la cosa è esportabile facilmente all’albana ed anche al sangiovese. Potrà pur essere che esista un gruppo di produttori che oggi sta mettendo insieme una cultura condivisa. Se ci sarà riuscito…fra quindici o vent'anni anni diremo che c’è un terroir.
    E dunque sono discretamente in disaccordo se si dice che il terroir di Brisighella è eccezionale come i climat toscani. Perché non riesco a capire su quale base lo si dica. Perché se è un’opinione personale sulla base di gusti personali allora non ho la bacchetta magica per confutare, ma se invece, come in effetti è, il terroir lo decide la Storia, allora manca la base per sostenere l’affermazione. Brisighella come Radda e Castellina? Ma Radda e Castellina sono nella storia del vino. E ci sono non per opportune ed indovinate operazioni di marketing o per forme protettive operate daci sono perché fra Radda e Castellina si sono prodotti vini immensi che sono passati alla storia. E che hanno influenzato il mercato mondiale del vino ed ancora oggi lo influenzano.
    Poggio Tura 2005 è buono assai, ma dopo tre annate è già un grand cru che ha battezzato un terroir?

    Agi

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  25. ...forme protettive operate dalla egemonia culturale delle classi sociali al potere, intendevo.

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  26. @Slarol: per bere qualcosa ci sto sempre, e se non vuoi Malbo, allora mi porterò la mia fiaschetta personale da casa :).
    @ Agi: wiki (http://it.wikipedia.org/wiki/Terroir) dice più o meno le stesse cose, ossia riassume una definizione che coincide con la maggior parte dei testi che ho letto e che non riesco ancora ad inquadrare fino in fondo. Come sempre bisogna mettersi d'accordo sulle definizioni e sui concetti, cosa non facile in un mezzo veloce come un blog (o i commenti di un blog). Tu, mi pare, punti molto sulla parte "cultura collettiva" che effettivamente da noi non è quasi mai esistita, vuoi per l'estrema parcellizzazione della terra, vuoi per fattori socio-economici. Ma questo non significa che molte terre in Romagna non siano adatte a grandi vini e non possiedano viti dell'età giusta per fare grandi vini. Mi è capitato diverse volte di sentir parlare produttori toscani, ad es, dell'eccezionalità di certe zone da noi, di certe "conche d'oro", e la cosa può essere riportata anche su tante altre zone con meno tradizione e storicità che spesso vivono un "inferiority complex". Non è campanilismo dire così, non c'è intenzione di lesa maestà. Io adoro i vini de Le Coste che sono a Gradoli nel Lazio, una specie di serie B del vino, dove il titolare produce vini che sembrano contenere un territorio, dove recupera vecchie vigne per preservare un territorio e dargli nuova linfa. Non è un terroir per mancanza di "cultura collettiva"? Brisighella (o Modigliana o altro ancora) ha terre eccezionali e non mi pare un'eresia dirlo: aldilà delle analisi dei terreni o dei vigneti o di altri dati più "oggettivi", trovo molto eccitante ciò che sta venendo fuori, trovo gustativamente (e non solo) emozionante il circolo virtuoso innescato da tanti produttori negli ultimi anni. E' il mio gusto ma vorrei fornire a spiegazione di ciò qualche parametro, un linguaggio che sia comprensibile e che chiarisca i perché e percome di certi miei giudizi; uno sforzo di analisi critica deve avere delle basi comuni, il linguaggio e parametri valutativi il più possibile "oggettivi" (ad es, consistenza ed equilibrio e integrità o quello che vuoi). Spiegare perché una cosa è più buona di un'altra. Altrimenti tutto si resetta al "per me è così" e fine delle discussioni e tutto a casa. Altrimenti ci si distacca dalla materia nel bicchiere e si finisce solo nella forza della storia e dell'etichetta. E per me si parla della storia (o della tradizione) stando col naso nel bicchiere.
    Non ho alcuna intenzione di sminuire territori come Radda o Castellina: sono cresciuto bevendo toscano e non posso che avere il massimo rispetto per quello che ha rappresentato e rappresenta. Sono anche conscio e grato alla Toscana o chi per lei, per aver prodotto alcune tra le più grandi bottiglie mai bevute, per rappresentare un territorio storicizzato che può essere quel quid in più per tanti motivi. Però non ho guerre di religione da combattere: amo il vino e vorrei essere il più possibile aperto e disponibile nell'assecondare primariamente i miei sensi. Insomma, nessuna prevenzione e rispetto assoluto per ciò che è la storia e la cultura di un posto. Ma anche nessun bonus: se bevo un Chianti assieme ad un Sangiovese di Romagna, io li faccio partire alla pari. Il resto è poesia, bella e affascinante, ci mancherebbe, ma è altro dalla realtà del liquido nel bicchiere.
    Poi, come sempre, si dovrebbe andare nello specifico, aprirsi delle bottiglie e scontarsi cercando un linguaggio comune. Ecco il mio sottile invito.
    E scusa se mi dilungo sempre tanto. La mia vita sociale si sta azzerando...

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  27. Permettete se intervengo non in veste di produttore, ma come ex tecnico viticolo della cab. Praticamente ho calpestato tutti i terreni dove sono collocate le vigne di Brisighella. Sono sembre stato convinto dell'enorme potenzialità che quel territorio può esprimere, e 20 anni fa ho scelto quelle zone per intraprendere la mia storia viticola. Potenzialità mai espresse, in passato, proprio per una forte presenza cooperativa che seguendo logiche commerciali di banalizzazione dei vini ne ha sopito l'espressione concreta. L'ultimo lavoro che ho voluto e seguito è stata la zonazione viticola del territorio che presto verrà presentata.
    Tralasciando le metodologie e gli enti coinvolti e andando al sodo, cioè la degustazione dei vini di Sangiovese,i degustatori coinvolti, e parlo di Gianni Fabrizio, Dario Cappelloni, Francesco Falcone, Giorgio Melandri e altri sono rimasti stupefatti ed estasiati dalle potenzialita espresse, in particolare dai vini delle zone alte del territorio. Questo non vuol dire che Brisighella, di fatto senza storia viticola di grande qualità, si può paragonare alle grandi zone del Chianti, ma le potenzialità ci sono tutte.Ci devono credere ora i viticoltori.
    Paolo B

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  28. Per Eugenio
    Ecco, la questione è spinosa, antica ed irrisolta, e forse anche ormai noiosa, visto che in anni di discussione non sono mai riuscito, nonostante quelle che a me parevano chiare evidenze, a convincere anche uno solo del partito avverso...però io sono dell'idea che non esistano parametri valutativi anche minimamente oggettivi nel vino. E che si possa arrivare al massimo a parametri valutativi condivisi fra un gruppo di persone che degustano spesso insieme.
    Soprattutto perché per chi beve insieme le parole prima o dopo prendono ad avere lo stesso significato per tutti i partecipanti. E così ci si capisce.
    Così è abbastanza prevedibile che io e te, non bevendo insieme, non avremmo inizialmente un terreno comune su cui dar valore alle nostre valutazioni.
    La cosa è sfumata, ma ancora più profonda di come l'ho raccontata qui, perché alla fine temo che non sia del tutto possibile nemmeno fare una descrizione non valutativa in modo oggettivo e ugualmente leggibile a tutti.
    La cosa mi è apparsa chiara leggendo proprio questo blog dove ho visto definire croccante la riserva 2007 di Francesconi, che io ho bevuto due o tre volte definendola fra me e me sempre in modo opposto, diciamo con le sue mollezze e molto molto matura.
    Ovviamente non c'è nemmeno da cercare una verità, c'è da arrendersi al fatto che qualcosa sia croccante per qualcuno e non lo sia per qualcun altro.

    C'è insomma solo da bere parecchio assieme, come soluzione.

    Agilulfo

    RispondiElimina
  29. @Paolo: grazie della bella testimonianaza. La zonazione è un lavoro di cui mi parlavi (e di cui mi hai fatto sentire qualcosa) di un interesse estremo, un cominciare a ragionare su dati seri.
    @Agilulfo: sottoscrivo (o "quoto" per usare lo slang) quello che dici. Il linguaggio tende a farsi comune nelle frequentazioni assidue, una descrizione può avere un significato diverso a seconda della propria esperienza. Problemi di semantica. Io e te magari avremmo inizialmente difficoltà a "comunicare" le sensazioni. Però devo continuare ad avere fede nella parola. Se si vuole esercitare della critica, a qualsiasi livello, è necessario averla (la fede). Credere nella comunicazione, nel rendere più universale possibile la comunicazione di una sensazione. Tentare di avere un lessico comune, una serie di parametri con i quali perlomeno creare le basi di una discussione. Altrimenti il "rischio" è quello di una deriva relativista. Non che ci sia nulla di male nel dire "A me piace e punto": però io agisco perché amo il vino e amo comunicare con gli altri questa passione, dialetticamente e tentando di rendere chiaro dov'è la qualità per me. Per questo, ad es, credo ancora nei punteggi, nella loro cristallina chiarezza; e credo nella descrizione che debba arrivare a definire un punteggio. Descrizione che, nella mia esperienza, è sempre stata scarsa nelle guide del Gambero; fulminante e "letteraria" in Veronelli (che era poco seguace della qualità assoluta, di parametri o cose varie, ma aveva la sua forza assoluta nel linguaggio); quasi futuriste in Luca Maroni, che però aveva creato un sistema di lampante lettura, quanto di più possibile vicino ad una "oggettività" parametrale (i famosi 33-33-33, consistenza ed equilibrio e integrità), oggettività intesa come semplicità di lettura.
    E si, l'unica soluzione sarebbe bere tanto insieme, e tirarci la giacchetta a vicenda nel tentativo di avvicinare l'altro verso le proprie idee. E capire perché nel '07 di Francesconi la maturità di frutto sia un problema per te e un bene per me. E capire cosa diavolo intendessi con l'aggettivo "croccante". E Grazie ancora per gli interventi stimolanti.

    RispondiElimina
  30. Dirò quello che è per me:
    è il rimando al frutto che fa croc, appunto. E' il primo fresco punto di maturità del frutto. Il momento della sua maggior chiarezza, intesa proprio come colore della sua espressione. E' un parametro imprescindibile di nitidezza espressiva.

    Agilulfo

    RispondiElimina
  31. @ Eugenio
    >Non è per sminuire Radda o Castellina......

    Guarda amico mio, proprio qualche sera fa eravamo ad una degustazione io e altri 2 che ben conosci e abbiamo assaggiato alcuni di quelli che vengono considerati il top del top del Sangiovese in terreni esageratamente vocati...Panzano, Castelnuovo Berardenga, Barberino val d'elsa etc.....
    Il mio commento (e non solo mio)? MAH! E ancora MAH!

    @ Paolo Babini
    Proprio una settimana fa è venuto da me in azienda Francesco Falcone, mi ha chiesto notizie dettagliate sul mio territorio, la "Serra" a Castel Bolognese. Ha girato assieme a me in azienda nei 2 poderi che conduco, ha guardato "la terra" nel vero senso della parola, mi ha chiesto le sue caratteristiche e ha voluto assaggiare le varie annate di Sangiovese riserva che ho in azienda fino alla 2010 appena messa in tonneau (e quindi npn ancora influenzata dall'affinamento in legno). Proprio su quest'ultima, ha espresso un giudizi che ha lasciato stupefatto perfino me stesso: il vino gli ricordava per la freschezza del frutto, l'alcol un po' più contenuto del solito e la struttura minore rispetto alle calde annate precedenti......indovina un po'? Un Sangiovese fatto nel Chianti classico di alta collina e non fatto nei 150 m s.l.m. di Monte Brullo che si affacciano sulla Via Emilia. Quindi si è giunti alla conclusione che molte potenzialità sono inespresse e probabilmente ciò è dovuto al fatto che ai viticoltori locali per motivi storici e sociali, non gliene è fregato niente di fare vini di qualità....vendevano il vino nelle damigiane, venivano pagati, ci guadagnavano e tanto è bastato. A tutt'oggi la situazione è ancora questa. Il problema è sempre la storia e tuto quello che ne va assieme......
    Con questo non voglio paragonare la Serra e Brisighella a Radda e Castellina, ma una cosa senza storia (IMHO) è molto più difficile da giudicare.

    @ Agilulfo
    Il territorio, non lo fa solo la terra....lo fanno anche gli uomini che ci lavorano sopra.....
    Remember.....

    RispondiElimina
  32. Eh, appunto.
    Per questo dico che qui oggi ancora non c'è, il territorio. E' mancato proprio l'uomo, inteso come conoscenza complessiva storica di ciò che va bene e ciò che non va bene fare. E sei tu stesso che dici che la cosa è ancora così.

    Si potrebbero sapere i nomi dei chianti che hanno fatto la figuretta?


    Agilulfo

    RispondiElimina
  33. Ieri sera si è tenuto alla sghisa un incontro con Catani dal titolo "In romagna si beve troppo giovane". E stato un incontro positivo sopratutto per capire da alcuni produttori presenti quello che intendono sul concetto di terroir in Romagna. La mia opinione è che ci sia una tecnica invadente e invasiva,gestita perlopiù da consulenti esterni, che penalizza la vera espressione del territorio. Occorrerebbe, meno interventismo a tutti gli effetti in vigna e in cantina ma occorrerebbe anche conoscere e riconoscere i grandi vini del mondo e capire a che punto si è.
    Sui vini degustati, forse era il caso di andare un pò più indietro con i vini di Castelluccio, il 99 ma sopratutto il 2000 erano già figli del nuovo corso, stravolti dal legno. Montevertine 95 è uscito con la sua finezza ed eleganza di sempre. Pietramora 07 e Michelangiolo 99, se pur con le differenze di età,sono frutto di una interpretazione romagnola del Sangiovese delle zone basse tutta potenza. Sorpresa della serata Ronco del Re 2002 a metà strada tra un buon Sancerre e un buon Chablis peccato per la bocca un pò troppo esile. Ma per chi ha vissuto quella vendemmia è un miracolo.
    Paolo B.

    RispondiElimina
  34. Agilulfo,
    vedo che su questo punto siamo d'accordo (...emmenomale); la complessiva storica conoscenza di cosa va bene o non va bene fare, ancora non c'è, o per lo meno non tutti ce l'hanno (quindi non è una cosa assoluta). Secondo me in Romagna siamo alla prima vera generazione di produttori (e scrivo in prima persona plurale perchè anch'io mi ci metto, e cerco di capire facendo un piccolo studio e prove di vinificazione, potatura, scelta dei cloni giusti, etc. all'interno del mio territorio)quello che è giusto fare. Se si continuerà (cosa che dubito fortemente visti i tempi non esattamente felici (e non solo in Romagna, ma anche in Toscana, Piemonte e altre regioni ben più blasonate della nostra) sicuramente si capirà quella che è la via giusta.
    E' sbagliato a priori condannare un territorio che si trova, ripeto, alla prima generazione di viticoltori che io ritengo "seri" (nel senso che non badano solo a fare del liquido rosso o giallo , venderlo in cisterna o in damigiana e riscuotere subito); questo comporta dei sacrifici, delle "badilate" sulla faccia, ma all'estero, dove c'è meno la cultura "Romagna = schifo" allora la gente rimane sorpresa (e parlo per le mie esperienze personali) quando assaggia i vini....e li apprezza.
    Ripeto, dire ad es.come ha fatto qualcuno con il sottoscritto: "tu hai l'azienda alla Serra, sei a 150 m. slm, non potrai mai fare un vino con il Sangiovese degno di tale nome" è una sonora VACCATA. Ho fatto il mio esempio, ma lo si potrebbe estendere ad es. a Bertinoro, Oriolo etc....
    Spero che il mio discorso non sia troppo fumoso, ma di essere stato chiaro.

    I sangiovese a cui mi riferivo non erano Chianti classico DOC, ma altra roba....e poi se penso quanto costano......
    I nomi per rispetto qui pubblicamente non li faccio. Se vai sul mio sito (click sul mio nome) trovi il mio indirizzo e-mail; me ne mandi una e ti risponderò ben volentieri in privato.
    Non sta bene un produttore che fa nomi di suoi colleghi, perchè alla fine sono tali......

    Ciao.

    Gabriele

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  35. Io scommetto che se facevate una verticale di Valentini il trebbiano vi sembrava meno noioso.

    Con affetto

    Rudy

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  36. Sai che nel progetto iniziale c'era di metterci un Valentini? Poi 'sta vita carogna c'ha portato in altri lidi...

    RispondiElimina

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